Negli ultimi anni, Takeshi Murata ha spostato la sua attenzione dalla produzione di video, che giocano come in un riff con l'estetica dell'errore e i fenomeni psichedelici, alle immagini digitali decisamente statiche, molto simili a fotografie. La prima serie di questo nuovo corso consiste in un insieme di nature morte che, usando strategie compositive classiche, presentano oggetti decisamente contemporanei; le opere più recenti, invece, sono costituite da misteriosi spazi architettonici generati al computer in cui è inserito un assortimento di articoli del tardo capitalismo.
Tra gli elementi presenti in queste nature morte troviamo: un palloncino rosso, auricolari per iPod, un telescopio, una bottiglia, vermetti gommosi, una bicicletta, un sole rosso, una pianta d'appartamento, una tazza da caffè di carta e tastiere elettroniche. Nelle loro forme originarie, questi oggetti sono per lo più generici per motivi legati alle tendenze del design (gli auricolari) oppure per la loro funzione e onnipresenza (una bottiglia). Le immagini costituiscono anche un elenco di articoli appartenenti a quel sistema dei consumi che ha influenzato Murata e la sua generazione e che appartengono a un'epoca non ancora considerata di buon gusto. Custodie di cassette VHS, manifesti di film pornografici e spade samurai possono essere intesi come parte di un pastiche nostalgico-adolescenziale di cui bisogna ancora trovare il significato filosofico ed estetico. Questo è esattamente ciò che Murata sta perseguendo, senza ironia né vergogna. Inoltre, il fatto che egli effettui il re-rendering e l'unbranding di molti di questi oggetti senza alcuna distanza ironica distingue le sue opere da quelle inserite nella dominante tradizione pop della East Coast.
Grande assente in queste opere è la narrazione, che i precedenti video dell'artista ottenevano mediante il movimento e il rumore digitale. Con le sue immagini, Murata non chiede al pubblico di "capire" o interpretare, anzi, come un altro artista dell'immobilità, Giorgio Morandi, egli presenta tableaux visivi da osservare e contemplare. Secondo quanto egli stesso ha dichiarato, vuole "esprimere qualcosa, ma non chiede nulla".
Mediante un sapiente uso degli strumenti digitali, Murata ottiene un'algida chiarezza. Per realizzare ogni opera egli parte da un centinaio di immagini 3D che rielabora completamente (insieme ai loro ambienti circostanti) con la tecnica del rendering o modifica leggermente con file clip-art. Rimuovendo tutti gli evidenti simboli commerciali, rende l'insieme al tempo stesso più personale per quanto riguarda l'indagine sulla forma e meno facilmente riconoscibile nella sua negazione di ovvi punti di riferimento. Proprio come un fotografo di nature morte, Murata illumina quindi la composizione.
L'opera finale, tuttavia, capovolge la sua matrice digitale manifestandosi solo in forma stampata. E per accrescerne l'effetto, Murata inserisce trame ed effetti di luce visibili solo sulle stampe a grandezza naturale. In questo modo si completa un insolito cerchio: un simulacro digitale dello spazio 3D viene ripresentato come prodotto tangibile, non più modificabile, pezzo finito e tattile: un oggetto, simile a quelli che egli stesso rappresenta, dotato di una vita e una cultura con cui confrontarsi.
Dan Nadel