Fin dall’anno successivo alla inaugurazione, il Palazzo delle Esposizioni divenne per oltre tre decenni sede permanente delle mostre della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, una associazione fondata nel 1829 con la pretesa di accogliere gli artisti più rappresentativi che operavano a Roma, insieme ad esponenti del potere, nobili, mecenati, intellettuali, accademici. Una società nata nel clima della Roma papale, di cultura conservatrice, prevalentemente rivolta all’ambiente artistico romano, anche se sostenuta da personalità come Bertel Thorvaldsen, Horace Vernet, alla cui presidenza onoraria era stato eletto il re Ludwig di Baviera. Le mostre rispecchiavano una visione estremamente conservatrice, anche rispetto ad altre sedi della cultura artistica in Italia, e quindi a Roma mancò quella funzione di vetrina internazionale che di lì a pochi anni assunse invece la Biennale di Venezia.
Un tentativo di aggiornamento fu fatto con le quattro edizioni della Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione, che ebbero luogo al Palazzo delle Esposizioni dal 1913 al 1916, con il proposito appunto di documentare, sia pure con un certo ritardo, quanto avveniva all’estero e il lavoro di quegli artisti che in Italia si ispiravano nei diversi campi, dalla pittura alla scultura, all’architettura, alle arti applicate, ad un modernismo diffuso. A Roma non si era in effetti avvertito quel fenomeno di profondo rinnovamento del gusto, delle concezioni artistiche e delle forme espressive rappresentato in Francia, in Germania, in Austria e in altri paesi europei dalle diverse Secessioni.
Nel 1927 il Governatorato di Roma deliberò l'istituzione delle Esposizioni Quadriennali d’Arte Nazionale, con sede al Palazzo delle Esposizioni, la cui prima mostra si sarebbe dovuta inaugurare il 1° marzo 1931. Nella stessa delibera, oltre ad indicare i membri che avrebbero dovuto far parte del comitato organizzativo presieduto dal Governatore (rappresentanti dell’Accademia di San Luca, della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, dell’Associazione artistica internazionale e artisti designati da varie istituzioni), viene anche definito lo stanziamento di bilancio: lire 250.000 annue e quindi un milione per ogni edizione della mostra. Si fa inoltre riferimento alla volontà di istituire premi e di destinare una somma significativa agli acquisti di opere per la Galleria Nazionale. La prima Quadriennale, sotto la direzione di Cipriano Efisio Oppo segretario generale, si inaugurò il 3 gennaio 1931, addirittura in anticipo rispetto a quanto precedentemente stabilito. Le opere vennero selezionate da due giurie composte da artisti, una nominata dal comitato organizzatore e l’altra da rappresentanti degli stessi artisti espositori. I primi premi furono dati ad Arturo Tosi e ad Arturo Martini, importanti retrospettive furono dedicate a Medardo Rosso, ad Armando Spadini e ad Antonio Mancini da poco deceduto.
Nel 1930 erano iniziati i lavori di ristrutturazione del Palazzo delle Esposizioni per adeguare gli spazi alle esigenze della mostra. Come si legge nelle cronache dell’epoca e nelle vari sedute della commissione, si rendeva necessario aumentare le sale espositive, realizzare gli ascensori, modificare i lucernai, provvedere ad un impianto di riscaldamento che regolasse il clima interno, troppo freddo d’inverno troppo caldo d’estate, perciò si decise di abbattere la serra "brutta e costosa tettoia da stazione ferroviaria". Incaricati dei lavori furono gli architetti Del Debbio e Aschieri: al primo si deve la demolizione della serra e la costruzione di un solaio, così da ricavare, nel piano sottostante altre sei sale espositive attorno ad un ambiente centrale. In questo modo l’architetto riprendeva, sia pure in termini più contenuti, l’impianto stesso realizzato da Piacentini per la parte principale dell’edificio, riproponendo al tempo stesso quella specularità che caratterizzava l’intero progetto. L’allestimento di Aschieri (che allestirà anche la seconda edizione della Quadriennale) annullava l’effetto monumentale dell’edificio ricercando un equilibrio razionale, sobrio ed elegante, in cui le opere avevano una precisa visibilità e cornice.
Commentando i lavori del palazzo e l’allestimento della mostra, l’architetto Luigi Piccinato sottolineava come Aschieri e Del Debbio avessero "ridato vita ai grandi saloni di via Nazionale. Proporzionando ambienti, disponendo tramezzi, smorzando luci, attenuando le ombre, la grande falange dei quadri è venuta a trovarsi ordinata ed esaltata in un ambiente pacato, semplice, signorile e riposante. Negli ambienti di rappresentanza poi, e cioè nel Vestibolo, nel Giardino d’Inverno, nelle scale, nei corridoi, là dove il tono neutro non era più necessario, essi hanno potuto liberamente fare dell’architettura" (nella rivista Domus, marzo 1931). La mostra, che Mussolini definì "storica", ebbe un notevole successo di critica e di pubblico (oltre 200.000 visitatori) e molto furono apprezzati i lavori di ristrutturazione, confermando così la definitiva destinazione del palazzo a sede delle Quadriennali.
Episodio particolarmente significativo dell’attività espositiva di quegli anni fu la Mostra della rivoluzione fascista, promossa dal partito nazionale fascista nell’anniversario del primo decennale della marcia su Roma. La mostra fu inaugurata infatti il 28 ottobre del 1932 e i lavori di preparazione furono regolarmente sottoposti all’approvazione del duce, che la definiva come la "documentazione sacra, suggestiva e solenne" della genesi, degli sviluppi e delle mete raggiunte dal fascismo. La mostra, come è ovvio, aveva infatti un esclusivo scopo propagandistico e celebrativo, ma rappresentò anche uno straordinario evento di ideazione espositiva. Si legge nel catalogo: "Al carattere monumentale della mostra non poteva non convenire una maniera architettonica, diciamo così, scenografica, atta a suscitare l’atmosfera dei tempi, tutta fuoco e febbre, tumultuosa, lirica, splendente". Traspare in queste parole ancora un clima futurista, che indubbiamente si rifletteva non solo in molte delle opere esposte, ma nell’impaginazione delle mostra stessa, dovuta alla collaborazione tra artisti (Nizzoli, Funi, Maccari, ma soprattutto Sironi) e architetti (Terragni, Libera, Valente), e la facciata esterna, progettata da De Renzi e Libera, testimoniava, sia pure nel formalismo e nel carattere esplicitamente ideologico dell’intervento (i fasci in metallo alti 25 metri), una cultura architettonica di ambito europeo.
La mostra avrebbe dovuto essere trasferita come sede permanente nel Palazzo del Littorio, che non fu costruito, e quindi si protrasse all’interno del Palazzo delle Esposizioni per circa due anni, di modo che la seconda edizione della Quadriennale fu organizzata in tempi strettissimi ed inaugurata il 5 febbraio 1935. L’intervento allestitivo fu affidato agli architetti Aschieri e Montuori; venne riportata alla luce la facciata di Piacentini e ci si limitò, nell’atrio a colonne, ad un sobrio portale di accesso. Nell’interno, il rivestimento della rotonda centrale, i velari delle coperture, le tre gradazioni di grigi delle pareti espositive, creavano un’atmosfera quasi metafisica di grande suggestione, dove furono collocate 1800 opere tra pittura, scultura e bianco e nero. Molte le mostre personali (tra cui quella dedicata a Scipione, morto due anni prima), con una particolare attenzione ai giovani artisti e alle diverse tendenze, da quella tardo futurista, a quella degli astrattisti che avevano il proprio epicentro a Milano alla Galleria del Milione, a quelle più conservatrici. Importante la presenza degli artisti della Scuola romana, soprattutto di Mafai che ebbe una sala con 29 opere e fu premiato per il dipinto Lezione di piano.