Public Display, il titolo dell'opera a metà strada tra scultura e pittura che John Miller ha realizzato per "Empire State", nasce dall'espressione public display of affection, "manifestazione pubblica di affetto", eufemismo per definire un comportamento inappropriato. Le manifestazioni pubbliche di affetto non sono inappropriate nel senso che non sono accettate da un punto di vista legale (a differenza, per esempio, del palpeggiamento), piuttosto, ciò che è inappropriato definisce qui il limite intangibile ma sempre presente di ciò che uno specifico gruppo considera accettabile. Come tutti gli eufemismi, l'espressione "manifestazione pubblica" rappresenta una sottile forma di condanna e repressione, oltre a essere una costruzione misteriosamente precisa per rimarcare differenze culturali e di classe: con un eufemismo possiamo dare a intendere cose che sarebbero politicamente scorrette, con un eufemismo possiamo costruire una logica del "noi e loro" senza rischiare la condanna sociale.
L'installazione di Miller contrappone l'immagine dipinta di una donna che piange (tratta da un reality show della TV britannica), ripetuta sulle quattro facce di Public Display, alle immagini stampate sul wallpaper di un gruppo di pedoni - una famiglia - in vacanza a Cala d'Or, località turistica di Maiorca frequentata dalla classe media e operaia. I rischi impliciti di questo tipo di vacanza sono immediatamente evidenti, come esprimono con violenta lucidità i Sex Pistols nel loro classico Holidays in the Sun: "A cheap holiday in other people's misery / I don't wanna holiday in the sun" ("Una vacanza a buon mercato nella miseria della gente / Io non voglio una vacanza al sole"). La prospettiva e l'atmosfera sociale della fotografia in bianco e nero di una famiglia quasi nucleare a passeggio davanti a un generico complesso commerciale evoca l'ambivalenza delle case di periferia del New Jersey fotografate da Dan Graham.
L'immagine è perversamente ingrandita, portando le figure a una dimensione umana. Essa è inoltre riprodotta specularmente e installata, stampata sul wallpaper, in un angolo della galleria per creare un effetto trompe l'œil: lo spazio della galleria sembra così proseguire nello spazio sociale raffigurato, con il punto di fuga della prospettiva situato esattamente dove le due pareti si incontrano. La famiglia duplicata marcia inesorabilmente verso di noi nella noia del suo tempo libero, incontrando noi, consumatori d'arte, nel nostro. L'effetto di questa quotidiana familiarità è più inquietante che spettacolare.
La forma di Public Display allude a una struttura espositiva semipubblica e in parte deriva dall'interesse di Miller per le Litfaßsäulen, le colonne per affissioni pubblicitarie di stile europeo nate a Berlino. Queste si differenziano dalle forme di comunicazione commerciale americane - per esempio il cartellone - perché si rivolgono ai pedoni in uno spazio a 360 gradi. Ricoprendo le pareti con rappresentazioni di soggetti umani contemporanei fissati nella profondità immobile del tempo fotografico, Miller nega la logica riduzionistica del minimalismo in cui, per esempio, un cubo può essere installato nel bel mezzo di uno spazio espositivo perché gli osservatori vi girino intorno, presumibilmente acquistando coscienza del proprio corpo in relazione a uno spazio ordinato - moderne aspirazioni fenomenologiche con un fondamento sublime. Nella revisione di Miller, diventiamo parte di una topologia del white cube, uno spazio di interiorità dove l'osservatore naviga tra due superfici continue che riflettono interiorità costruite socialmente, alienate e alienanti. In questa piazza, incontriamo ordini di disincanto sociale che si intersecano, compreso il nostro. Ora noi e loro siamo uguali.
Nicolás Guagnini