Lui
"Lui ritaglia i laghi in modo che appaiano dritti".
Lui è sorpreso di trovare che il punto manca in ogni ristampa di quella prima riga.
Lui data così la sua missiva, "gennaio, cinque giorni dopo aver succhiato cazzi allo Splash".
(Lui trovava che il corpo fosse mitico, non vedeva alcuna ragione per resistere a tutto ciò che offriva, e pagava per questo.)
Lui si preoccupa dei memi.
Lui pensa che tutto sia ridotto all'Io, radice del nostro costante contesto privo di contesto.
Lui ammira, quindi, i gesti dell'artista con gli oggetti comuni che spingono a chiedersi se esista ancora qualcosa che possa essere definito
comune.
Lui non considera questi gesti autoreferenziali né citazionali.
A lui piace che tutti sappiano cosa è un gatto. Idem per le vacche che ruminano in un campo, le corna, l'eroina.
Lui sorride perché i gatti dureranno, molto più dei Kardashian, e questo è il motivo per cui in Egitto erano dei.
Lui si chiede se opere di altri artisti possano mai essere oggetti comuni o simili al sapere comune, e
se vogliamo che lo siano.
Lui chiede al suo amico, Non desideri intensamente quella che si chiamava "aura" d'artista, non detesti il fatto che troppo spesso oggi sia ridotta a una fattura commerciale?
Lui cerca di ricordare tutti gli eteronimi e semi-eteronimi di Fernando Pessoa.
Lui stravede per il mistero e il potere dei nomi, del dare nomi.
Lui è abbastanza sicuro che Oggetti comuni e loro semi-eteronimi sia sempre un titolo adatto.
Lui - siamo sinceri - spesso preferisce le parole delle cose alle cose stesse, ma
lui forse preferisce anche di più quando l'arte, in quanto cosa molto speciale, fa sì che tutti chiudano quella cazzo di bocca.
Lui non sa decidere se masturbarsi o andare a correre.
Lui rutta, grattandosi.
Lui si mette i calzini Puma e si allaccia le Brooks.
Lui naviga tra Tumblr vari, blog, e così via.
Lui definisce "scultura" queste modalità di diffusione di immagini in relazione a oggetti reali.
Lui è convinto che è questo il motivo per cui l'artista non ha nulla a che fare con il surrealismo.
Lui è nei guai.
Lui usa la zucca.
Lui pensa che pensare significhi avere qualcosa da rimasticare.
Lui, cioè, rumina.
Lui riflette sul reale della Real Mayonnaise marca Hellmann.
Lui propone le proposizioni di Haim Steinbach come un motivo per collegare esposizione e grammatica.
Lui ficca il dito nel buco dell'"estetica relazionale".
Lui allunga un sedativo al formalismo.
Lui si sbarazza dell'aspetto curatoriale.
Lui controlla le e-mail sull'iPhone.
Lui scoreggia.
Lui twitta che ha scoreggiato.
Lui e la sua scoreggia diventano virali.
Lui ammira i décolleté di ogni sesso.
Lui piange per la frase verso la fine della Ricerca, quando il narratore riassume il grande amore della sua vita:
"Profonde Albertine, que je voyais dormir et qui était morte"
Lui è caduto molte volte nell'abisso di quel "profonde".
Lui ricorda che una delle prime opere dell'artista ha (una foto) dell'autoritratto di Dürer che ti fissa
dagli scaffali di un'edicola pieni a volontà di carne lucida, fiche e culi bramosi.
Bruce Hainley