Quel giorno, Theresa aveva capito già molto presto che sarebbe ricominciato di nuovo: contò i passi di un tracciato di orme - sembravano banali pezzi di tazze congelati in una crosta di neve che dal marciapiede portava alla canonica. Udiva un graffiare sommesso provenire dal profondo di un camino sigillato; grucce stridevano contro rastrelliere in una stanza che sapeva essere vuota. Scorse in un flash una familiare giacca rossa spostarsi velocemente ai bordi della sua visione periferica... Tutti segni noti, segnali, che avevano inseguito lei e Jeremy per un anno e mezzo mentre viaggiavano a ovest e a est, tornando a casa per poi partire di nuovo. "Sono tornati" pensò, e il consueto senso di indignazione la riempì di conforto invece che di dispiacere. "Sono tornati per me...".
Che sensazione strana quando avevano smesso di perseguitarla, si era sentita sola e perduta, e tutte le opportunità promesse dal sollievo della liberazione improvvisamente erano svanite, risuonando in lei come monete che cadono da una lunga scala vuota. "Adesso non sono più niente", pensò. "Sono finita di sicuro". A volte, rendendosi conto che la gente aveva smesso di avvicinarsi a lei si chiedeva: "Dove mi trovo?", senza accorgersi che ciò avveniva già da moltissimo tempo.
Adesso era troppo difficile, quasi impossibile avere percezione di sé senza tener presente come le sue azioni venissero inquadrate nei parabrezza di automobili ferme che sembravano sempre stare lì ad aspettarla, con i loro numeri di targa della Florida che in qualche modo si riferivano sempre a combinazioni conosciute: un numero di telefono della sua infanzia, le cifre della previdenza sociale di Jeremy, un codice PIN, la data del suo compleanno. "Buon quarantesimo compleanno, Theresa", le aveva sibilato una volta uno sconosciuto dall'aria familiare alla guida di una di quelle auto. "Ti trovo bene, tesoro". Lei lo aveva guardato allontanarsi, osservando il proprio riflesso scivolare sul finestrino di dietro fino a scomparire, e aveva visto che le cifre della targa erano FLA10 26. Il suo compleanno, proprio il compleanno, il suo orrendo quarantesimo compleanno, a cui un tempo guardava in maniera così indulgente perché così distante, alla fine le era stato annunciato da uno sconosciuto a bordo di una berlina. "Vaffanculo, bastardo di Scientology", gli aveva urlato dietro, sconvolta ed eccitata dalla conferma, dall'improvvisa e intima agnizione. Loro sapevano e ricordavano, l'avevano cercata e aspettata, l'avevano guardata andarsene, seguita a prudente distanza, registrando ogni singola mossa... un perfetto circuito di riconoscimento.
Certo era tutto terribilmente spaventoso. Faceva paura trovare strani biglietti sull'auto o sulla porta di casa; era inquietante vedere il tuo nome scritto nella polvere sulla fiancata di un furgone nero in un quartiere sconosciuto; era irritante avvertire il solito senso di frustrazione quando le intromissioni della Chiesa trasformavano le cose che un tempo erano solide in fragili, irreali, vaporizzate. I piantonamenti e una serie di campagne diffamatorie sapientemente costruite e orribilmente discrete avevano seguito senza sosta Theresa e Jeremy fin da quando avevano rifiutato di unirsi alla Chiesa di Scientology. Improvvisamente persone che credevi amiche o i compagni di lavoro si rivelavano degli assoluti traditori, vicini e colleghi brandivano in silenzio gli incartamenti che l'FBI aveva compilato su Theresa e che contenevano fotografie contraffatte e documenti falsi. Senza alcuna spiegazione, su una fotocopiatrice all'ufficio FedEx in centro, dove Theresa non era mai stata, fu trovata una vecchia rubrica appartenuta a sua madre. Al diacono della canonica di St Mark fu inviata una serie di ricevute contraffatte che dimostrava che Theresa aveva usato la sua MasterCard in Pennsylvania per comprare una pistola 9 millimetri. Naturalmente tutti questi documenti erano citati nella denuncia legale che la coppia stava presentando contro la Chiesa di Scientology, accusandola di questa campagna di molestie e della diffamazione che aveva portato alla distruzione della loro carriera avvelenando Hollywood contro di loro. "Verranno fuori tutti i nomi", così Theresa ammoniva i vecchi amici la cui lealtà era ora messa in dubbio, "e state pur certi che farò tutto quanto in mio potere per smascherare tutti voi bastardi corrotti che siete se scopro che siete coinvolti in questa setta del cazzo".
Naturalmente Theresa fece il possibile per impedire ai criminali di Scientology di raccogliere informazioni che avrebbero potuto poi essere distorte e usate per distruggerla. Notò subito che il telefono di casa nella canonica sulla Ninth Street emetteva un ticchettio strano e misterioso e iniziò a usare una serie di cellulari usa e getta. La stufa a gas fu spenta e sostituita con un fornello elettrico, i conti bancari vennero chiusi. "Lo so chi sei!", così apostrofava gli sconosciuti che per strada le camminavano troppo vicino o la guardavano troppo a lungo. "So esattamente chi cazzo sei, stronzo seguace...". E i suoi occhi sembravano illuminati dall'interno, incandescenti e frementi del male oscuro della follia. Applausi e risate di scherno isteriche erano state le reazioni nel vedere una volta una giovane donna che aveva fronteggiato in un bar diventare rossa e crollare, umiliata e in lacrime dopo che le aveva sussurrato qualcosa all'orecchio e aveva sputato nella sua tazza. "Siete così deboli", aveva urlato alla donna che scappava via, mentre un altro avventore osservava con orrore l'espressione del volto di Theresa che sotto le luci si trasformava in qualcosa di malato e assente.
Come spesso accade, l'abuso divenne l'elemento dominante della sua vita, e coloro che lo avevano causato, tutti anonimi e sempre diversi, si incarnarono nell'amante prevedibilmente brutale che in segreto aveva sempre desiderato. In qualche modo erano tutti felici, l'economia del loro odio reciproco si era trasformata in un rapporto profondamente erotico che definiva ciascuno attraverso la propria umiliazione; fino a quando un giorno, senza preavviso, tutto finì.
Una mattina, le auto smisero di passare. Theresa sentì che il pedinamento era cessato, che la posta non recava segni di manomissione, che il cibo cominciava ad avere il solito sapore. Le telefonate anonime si fermarono, l'indirizzo e-mail non sembrava violato, le cose rimanevano dove le aveva lasciate, intatte e inalterate. "Che cazzo sta succedendo, Jeremy?", chiese lei, impaurita e disorientata. "Sta per accadere qualcosa di grosso", si preparava, pronta per un potente assalto che semplicemente non arrivò mai. "Qui sta per succedere qualcosa di importante...".
E così aspettava. Ascoltava e guardava, con gli occhi scintillanti e i capelli incolti, il corpo teso in previsione di un attacco che non arrivava. Una mattina sentì un colpo proveniente dalla cucina, un colpo sordo, metallico. Sembrava così normale, quindi sicuramente era il segno di qualcosa di molto strano. Si diresse lentamente verso quel suono, verso il ritmico tap-tap-tap, che sembrava uscire dal forno. Procedeva guardinga, con un batticarne stretto in mano, in attesa. "Ci hai sfinito", aveva finalmente sentito una voce sussurrare attraverso la ventola sopra il fornello. "Non so proprio più che fare con te, Theresa, e a dir la verità, non ne vale più la pena. Tu non sei niente, Theresa Duncan. Sei diventata una nullità". Poi vide che una costellazione di piccole luci a LED incassate nel soffitto - non le aveva mai notate prima - si spegnevano all'unisono. Udì un ronzio e un trambusto, poi uno strano silenzio, e all'improvviso si rese conto che un rumore elettronico di fondo che prima non aveva notato si era bruscamente interrotto. Era stata abbandonata alla solitudine del suo fallimento.
"Dove sei andato?" chiedeva a volte a nessuno in particolare. "Che cosa ho fatto di sbagliato?". Sapeva che la risposta non sarebbe mai arrivata. La sua immagine riflessa nello specchio cominciò ad apparire diversa, consumata e invecchiata non dalle molestie che l'avevano tanto tormentata ma dalla loro cessazione improvvisa, un furto che rendeva i suoi lineamenti emblemi di indifferenza e abbandono. "Vaffanculo, fottuto bastardo dell'MKUltra", questo Theresa sibilava ai vecchi amici provando una speranza che la faceva vergognare. Vittima volontaria ormai ignorata, corpo non degno di stupro né di rifiuto.
"Ti sto dando un'ultima possibilità", disse a voce alta, abbastanza da poter essere udita attraverso la finestra aperta e nella strada di sotto. "Questa è la tua ultima possibilità!". Le sue unghie cominciarono a spingere sulla pellicola del blister e le pillole che ne uscirono toccarono il fondo di una piccola ciotola che Theresa un tempo credeva posseduta. "Sto per prendere queste pillole!", gridò a un amante perduto da tempo, a chi aveva abusato di lei ma aveva abbandonato l'incarico. "STO PER PRENDERE QUESTE PILLOLE" più forte questa volta, farfugliando nei fumi del Jack Daniels. "Sto...". Infine la sua voce si spense in un sussurro pietoso, come la voce stucchevole di una ragazzina che lancia minacce ormai prive di valore.
Alla fine un click risuonò dalla camera da letto, il suono del nastro di una cassetta che era arrivato alla fine - una tecnologia antiquata che indicava che, dopo tutto, forse qualcuno stava ascoltando. Si portò una mano alla bocca e lanciò un bacio verso un osservatore invisibile. "Vaffanculo, bastardo di un seguace" sussurrò prima di chiudere gli occhi, sorridente e contenta, felice di sapere che a qualcuno ancora importava di lei.
Alissa Bennett