Sulla sovraccoperta di Spine, monografia e trattato di R. H. Quaytman del 2011, c'è scritto: "Il mezzo è la pittura, non ciò di cui la pittura è fatta": una frase che è forse la chiave per penetrare nel corpus enciclopedico di questa artista, che si concretizza nella pratica sistematica di realizzare le mostre come fossero capitoli di un libro. Se le opere sono eleganti oggetti ottenuti mediante la magistrale lavorazione dei materiali, gli strati di gesso, gli inchiostri delle stampe serigrafiche e i colori a olio potrebbero trarre in inganno l'osservatore inducendolo a fermarsi su un solo aspetto. Le varie tecniche artistiche invece si sovrappongono: la scultura, nella costruzione e nell'installazione dei pannelli; la pittura, applicata attraverso un telaio o con un pennello; le fotografie, provenienti da archivi o realizzate dalla stessa artista; e infine il linguaggio, per la presenza del racconto. Le contraddizioni, le duplicazioni e le negazioni creano una tensione ineffabile tra questi strati di significato, che produce un ronzio simile a quello che si crea negli occhi di chi osserva uno dei motivi ottici di Quaytman.
Le opere raccolte per "Empire State" sono per lo più ritratti che introducono nella logica del sistema di Quaytman una configurazione simile alla ragnatela di un social network. La maggior parte dei soggetti raffigurati occupano la parte del capitolo in cui appare il loro ritratto. I capitoli-dipinti di Quaytman sono un'agenda visiva, che mostra il passaggio di amici e colleghi in questo mondo - artisti come Dan Graham, K8 Hardy, Andrea Fraser, Julia Scher e Thomas Beard, condirettore del locale Light Industry dove si proiettano film e video sperimentali. Quaytman ha lavorato con tutti loro e li ammira. Nei ritratti, come nella vita, anche i luoghi diventano personaggi: siamo condotti a una festa a casa dell'artista Tom Burr; nell'ufficio della pionieristica galleria di Pat Hearn; a vedere l'opera di Dan Graham e Michael Asher alla galleria cooperativa Orchard, di cui Quaytman è stata direttrice. In questi spazi la tensione liminale ritorna come un'ansia temporanea - come in un sogno, siamo presenti ai margini di un momento che è ormai passato. Come mai Quaytman ci porta dentro stanze che non esistono più?
La finestra scorciata e esposta a nord del Whitney Museum of American Art è lo scenario di Distracting Distance, Chapter 16 (A Woman in the Sun-Yellow), del 2010.
Nel dipinto, K8 Hardy sta in piedi con una sigaretta in mano; la sua figura nuda e la posizione richiamano alla mente la tela del 1961 di Edward Hopper dal titolo A Woman in the Sun, oggi nella collezione del Whitney. In Spine, Quaytman scrive: "A differenza del quadro di Hopper, in cui l'osservatore è un voyeur, nel mio dipinto colui che guarda è di fatto all'interno dello spazio rappresentato, in compagnia del nudo - un individuo colto in un momento privato nello spazio pubblico del museo". Le immagini di Quaytman sono richiami allegorici, geroglifici provvisti di un proprio vocabolario e sintassi: l'opera rappresenta l'artista K8 Hardy al Whitney, ma anche la donna di Hopper in una camera da letto, un canonico nudo platonico, una fotografia, la serigrafia di una fotografia, un trompe l'œil e uno specchio.
Le strisce gialle che attraversano l'opera di Quaytman, proprio come l'astrazione in stile Op art di Exhibition Guide, Chapter 15 del 2009, ci riportano alla fisicità dell'oggetto e di noi stessi. Ammesso che i pannelli di compensato di Quaytman possano sopportare il peso di un ulteriore significante, questo sarebbe il riflesso dell'osservatore nel ritratto: la postura, il profilo della figura che passa, la nudità vestita, l'assenza, la presenza. Così, incarnando noi stessi tutti i suoi strati di significato, rendiamo manifeste le tensioni presenti nell'opera. Proprio come la figura ricorrente di Thomas Beard in Beard, Chapter 19, 2010, sta davanti a un'opera d'arte, anche noi ci troviamo di fronte e dentro il dipinto.
Alicia Mountain