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Galleria Pieroni
Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier aprono la loro galleria a Roma a via Panisperna 203 nel gennaio del 1979. Al momento del loro incontro Pieroni ha già alle spalle dieci anni d’intensa attività a Pescara, sua città natale. Si avvicina infatti al mondo dell’arte nel 1970 promuovendo due iniziative in collaborazione con l’azienda di arredamento della sua famiglia, dove lavora. Insieme alla cugina Federica Coen avvia un’edizione di mobili e di arazzi di Giacomo Balla, in accordo con le figlie dell’artista Luce ed Elica. Lo stesso anno, su un’idea di Getulio Alviani e con la collaborazione di Lucrezia De Domizio, sua amica d’infanzia, Pieroni realizza Dal mondo delle idee, un progetto che unisce arte e design presentando oggetti di arredo e mobili disegnati da un gruppo di artisti che frequenta allora con assiduità, tra cui lo stesso Alviani, Mario Ceroli, Laura Grisi, Enrico Job, Michelangelo Pistoletto, Concetto Pozzati, Paolo Scheggi ed Ettore Spalletti.
Nel 1975, spinto dal desiderio di superare la cultura borghese di appartenenza, come ha dichiarato in una recente intervista, Pieroni decide di intraprendere un progetto più impegnativo e di aprire una vera e propria galleria. La sede è in uno spazio suggestivo e pieno di memorie storiche. Si trova, infatti, all’interno del Bagno Borbonico di Pescara in via delle Caserme, parte dell’antica Fortezza Reale trasformata nel XVIII secolo in un carcere. L’attività della galleria s’inaugura nel febbraio 1975 con l’installazione Allestimento teatrale di Luciano Fabro. Un attore chiuso dentro un cubo di specchi recita un brano teatrale, da questo spazio riflettente si passa agli altri ambienti attraverso un Percorso fatto di teli trasparenti che chiudono le stanze al posto delle porte. La luce decresce da un ambiente all’altro, fino all’ultimo spazio completamente senza luce, in un percorso dalla luce verso il buio che rievoca l’oscurità della prigione medievale. Tra il 1975 e il 1978 Pieroni organizza mostre personali di Jannis Kounellis, Ettore Spalletti, Mario Merz, Francesco Lo Savio e Vettor Pisani, che arricchiscono la città dell’incontro con alcune delle più interessanti ricerche del panorama artistico nazionale degli anni Sessanta e Settanta.
Nel 1977 Pieroni incontra Dora Stiefelmeier. Nata a Zurigo e laureata in sociologia alla Sorbona nel 1967, Dora Stiefelmeier è allora impegnata come redattrice della rivista femminista “nuova DWF – Donna Woman Femme”, periodico di studi internazionali sulle donne fondato a Roma nel 1975. Decidono presto di aprire insieme una nuova galleria. Sono infatti uniti da una comune visione del mondo dell’arte, inteso come territorio da esplorare, fatto di incontri personali e progetti condivisi, di trasformazione e accrescimento, con uno sguardo critico verso i meccanismi sempre più impersonali del mercato dell’arte. Chiuso lo spazio di Pescara, nel gennaio 1979 con una collettiva di opere di Gino De Dominicis, Jannis Kounellis ed Ettore Spalletti s’inaugura la nuova sede della Galleria Pieroni in un appartamento al secondo piano di un edificio situato nella parte alta di via Panisperna nel Rione Monti, non lontano da via Nazionale e dal Palazzo delle Esposizioni.
Tra il 1979 e il 1992, anno di chiusura della sua attività, la Galleria Pieroni ospita sessantadue mostre. Durante il primo anno propone le personali di artisti con cui Pieroni aveva già collaborato a Pescara, come, ad esempio, Luciano Fabro che presenta la mostra Oggi ripeto cos’è la scultura, con l’opera Il giudizio di Paride: quattro elementi ovoidali in terracotta, in cui la diversa forma di ognuno e lavorazione della loro superficie, più liscia o scabrosa, traducono l'individualità fisica e psicologica dei personaggi, Giunone, Minerva e Venere, intorno a Paride. A partire dal marzo del 1980 la galleria inizia a proporre, accanto agli artisti italiani, molti artisti internazionali. Il primo è Gerhard Richter che presenta a Roma una mostra con alcuni lavori monocromi della fine degli anni Sessanta, quadri grigi dipinti su vetri e su tela, insieme a una serie di quadri recenti, in cui il colore torna a dialogare con lo spazio bidimensionale della tela. Nel 1987 la galleria collabora con l’Accademia Americana e il Centro Culturale Canadese di Roma alla realizzazione della mostra Non in codice, a cura di Dan Graham, con opere dello stesso Graham, Judith Barry, Dara Birnbaun, Barbara Ess, Rodney Graham e John Knight.
Nei primi anni Ottanta, in un momento in cui si afferma ampiamente nel panorama nazionale e internazionale la Transavanguardia, i Pieroni mantengono il loro interesse verso un ambito di ricerche più vicine all’arte concettuale e all’arte povera, continuando a seguire gli artisti con cui avevano consolidato da tempo i loro rapporti e avviando collaborazioni con Emilio Prini, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Sol LeWitt e con i più giovani Remo Salvadori, Marco Bagnoli e Felice Levini. Sempre più ampio diviene anche l’interesse per l’arte internazionale. Nel 1981 la galleria organizza la proiezione di un film degli artisti inglesi Gilbert & George, di cui ospiterà una mostra nel 1984, e una personale di disegni dell’artista svizzera-tedesca Meret Oppenheim. Attraverso l’incontro con lo storico dell’arte Jan Hoet, direttore del Museo di Arte Contemporanea di Gent, la galleria entra in contatto con la scena artistica belga. In questo modo nascono i progetti di mostre con Jan Vercruysse nel 1987 e nel 1990 (quest’ultima riproposta oggi al Palazzo delle Esposizioni) e le mostre di Thierry De Cordier e Jan Fabre. La galleria accoglie anche i lavori di alcuni protagonisti dell’arte americana, come Dennis Oppenheim, Maria Nordman e Dan Graham. Le ultime due esposizioni che si tengono negli spazi di via Panisperna nella primavera del 1992 sono quelle di Carla Accardi, con cui i Pieroni avevano stretto un forte sodalizio a partire dal 1982, e dell’artista francese Bertrand Lavier.
La ricerca di Lavier si muove sul confine che separa il design dall’opera d’arte, si ricollega idealmente sia ai primi progetti realizzati da Pieroni a Pescara negli anni Settanta di cooperazione tra arte e mondo della produzione industriale, sia ai nuovi progetti che i due galleristi avrebbero promosso da lì in avanti. Nel 1991, infatti, i Pieroni costituiscono Zerynthia un’Associazione per l’Arte Contemporanea con sede a Paliano, in una fattoria in campagna con le foresterie dove è stato possibile per lungo tempo condividere amicizie, collaborazioni e molti nuovi programmi culturali.
L’associazione collabora con enti pubblici e privati nella realizzazione di progetti di arte contemporanea, mostre, convegni e pubblicazioni. Tra il 1997 e il 2002 realizza con l’Accademia di Francia, che a Zerynthia aveva affidato in quegli anni la direzione del programma di arte contemporanea, il progetto Atelier nel bosco, con una sequenza di mostre monografiche di tredici artisti uniti dal loro forte legame con Roma, tra cui Carla Accardi, Jannis Kounellis, Sol LeWitt e Giulio Paolini. Tra il 1995 e il 2000 Zerynthia assume anche la direzione artistica del Centro Civico per l’Arte Contemporanea di Serre di Rapolano in Toscana e nel 1998 organizza con il museo S.M.A.K. di Gent e il Museo di Arte Contemporanea di Lione il progetto Indoor, una mostra-laboratorio con Mario Airò, Massimo Bartolini, Jimmie Durham, Bruna Esposito, Johannes Kahrs, Fabrice Hyber, Annie Ratti e altri.
Nel 2003, dopo aver vinto un bando europeo, Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier fondano RAM – radioartemobile, una piattaforma per l’arte contemporanea con sede a Roma che si occupa di promuovere progetti che collegano arti visive e Sound Art. Dal 2004 RAM ha avviato il progetto di un archivio permanente di opere sonore, il SAM SoundArtMuseum, e una radio web RAM LIVE in streaming 24 ore su 24, luogo d’informazione e sperimentazione interdisciplinare.
Sempre in quest’ottica di contribuire a un dialogo tra discipline diverse, RAM avvia la sua collaborazione con la Fondazione Cittàdellarte di Michelangelo Pistoletto e con il suo progetto Terzo Paradiso. Dal 2012 RAM ha poi inaugurato un’altra serie di innovative iniziative, con il titolo di “D/A/C denominazione artistica condivisa”: un programma di tavole rotonde tra artisti e imprenditori con l’intento di creare una rete di produzione incentrata sui valori di creatività, trasformazione e dialogo propri del mondo dell’arte, esattamente come Pieroni aveva fatto negli anni Settanta all’inizio della sua carriera di gallerista.
Una delle ultime iniziative dell’associazione, avviata grazie alla mediazione di Arnaldo Mosca Mondadori e realizzata in collaborazione con il Carcere di Milano Opera, prevedeva l’esecuzione di un lavoro a quattro mani eseguito da Jannis Kounellis e dal compositore Carlo Crivelli. Il progetto è rimasto purtroppo incompiuto per la scomparsa dell’artista nel febbraio del 2017 ed è stato ricordato con un concerto-omaggio di Carlo Crivelli dal titolo Il Violino di Kounellis ai Frigoriferi Milanesi.
Nel 2016 Zerynthia ha inoltre contribuito anche alla creazione della Fondazione No Man’s Land, con sede a Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, dedicata al lavoro e al pensiero dell’artista e architetto franco-ungherese Yona Friedman, che ne ricopre la Presidenza onoraria.
(Paola Bonani)
Jan Vercruysse
Tombeaux (Stanza)
Galleria Pieroni
24 febbraio – 10 aprile 1990
“Le opere da vedere in questa nuova mostra si chiamano Tombeaux, parola che in francese ha un doppio significato: ‘tombe’, quindi luogo del silenzio e del non-essere, ma, allo stesso tempo, è anche il nome di una forma metrica della poesia medievale (di versetti appunto in omaggio di un defunto)”. Così si poteva leggere sul comunicato stampa della mostra di Jan Vercruysse presentata alla Galleria Pieroni nel febbraio del 1990, oggi in parte riproposta in una delle sale del Palazzo delle Esposizioni.
Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier avevano avviato la loro collaborazione con l’artista belga nel 1987, presentati da Jan Hoet, storico dell’arte e curatore, allora direttore dello Stedelijk Museum voor Actuele Kunst di Gent in Belgio. Il lavoro dell’artista corrispondeva bene agli interessi della galleria rivolti allora agli sviluppi dell’arte concettuale e dell’arte povera. Nel 1987 la Galleria Pieroni aveva ospitato una prima personale di Vercruysse, in cui erano raccolte opere appartenenti alla serie delle Atopie. Tre anni dopo, nel 1990, la galleria propone la mostra intitolata Tombeaux (Stanza). Uno degli ambienti di via Panisperna accoglie in quell’occasione cinque lavori realizzati da Vercruysse in ferro: cinque diverse declinazioni di porte o paratie distanziate dal muro con una serie di fasce metalliche alternate lungo i cinque piani verticali in sequenze orizzontali diverse. Due di questi cinque lavori sono ripresentati oggi qui in mostra. In un’altra stanza della galleria erano disposti in fila sei elementi in legno dipinto, bassi e tutti uguali, disposti in una sequenza ordinata, parallela a una delle pareti. Un’opera molto simile dello stesso anno, ma con sette elementi, è presentata oggi al Palazzo delle Esposizioni.
Accanto ai lavori del 1990 è stato riallestito per questa occasione, secondo il progetto dell’artista, anche l’ambiente, intitolato sempre Tombeaux, che Jan Vercruysse realizzò nel 1988 appositamente per l’entrata della biblioteca e guest-house che Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier avevano aperto al numero 144 di Piazza Vittorio: un piccolo spazio raccolto in cui due specchi posti l’uno di fronte all’altro rimandano immagini moltiplicate e infinite di ciò che entra nello spazio tra di loro, mentre al centro un elemento dorato richiama la sagoma di un tavolo.
Nel testo pubblicato nel catalogo della prima mostra del 1987 alla Galleria Pieroni Jan Hoet ripercorre le tappe del già luogo percorso di ricerca di Vercruysse, allora appena più che quarantenne. Dopo aver abbandonato le sperimentazioni iniziali nel campo della poesia visiva, l’artista si era impegnato nei primi anni Ottanta nella ricerca di una formulazione plastica “di questioni teoriche riguardanti l’artista” e i meccanismi del suo operare, veicolata soprattutto dall’uso dell’immagine fotografica trasferita in litografia, spesso raffigurante suoi autoritratti. Dal 1984, a queste ricerche di carattere più concettuale, Vercruysse aveva affiancato la realizzazione di una serie di Camere in cui la sua attenzione si era spostata dall’analisi delle azioni dell’artista a quella dell’arte stessa: alla ricerca della definizione del luogo che spetta all’arte nel mondo. Le forme tridimensionali di questi imponenti costruzioni in legno erano “la traduzione diretta di una realtà isolata (l’arte), in uno spazio proprio (costruito senza parte esteriore, simile a un tempio, lussuoso nella realizzazione, frontale, rifiutante il contatto, perfino ‘elitario’)”. Le Atopie presentate alla Galleria Pieroni proseguono in questo intento di indicare (letteralmente) il “non-luogo” dove risiede l’opera d’arte rispetto alla realtà.
“L’arte – ha dichiarato Vercruysse in un’intervista di quegli anni - deve creare qualcosa ‘altro’, deve ‘essere altro’, per me, con immagini archetipiche. ‘Immagine’ non significa né riproduzione, né rappresentazione. Io voglio sentire in un’opera d’arte il forte piacere di ‘allontanamento’. (…). Analizzare la società attraverso la sua riproduzione non è abbastanza”. Questo allontanamento però non è totale astrazione, né rinuncia a una presenza fisica dell’opera d’arte. I Tombeaux sono oggetti le cui forme non sono né completamente astratte (pur se semplificato, il loro aspetto non è costruito secondo le leggi esatte della geometria), né completamente aderenti alla realtà anche se in alcuni casi vi alludono apertamente. La loro fisionomia si sottrae alla possibilità di un’interpretazione chiara e definitiva e di un utilizzo pratico di qualsiasi genere. Come scrive sempre Hoet in questi lavori “possiamo cogliere i principi che legano l’autonomia dell’opera (e dell’arte)” alla realtà, ma al tempo stesso “viviamo un’esperienza sensuale”. Un’esperienza che consiste nella percezione dello spazio, articolato attraverso la presenza di queste nuove forme, disposte ogni volta in maniera diversa, in sequenze e ritmi che ricordano quelli astratti della musica e della poesia, cui fa diretto riferimento proprio il titolo delle opere.
Sempre in occasione della personale 1990 la Galleria Pieroni ha pubblicato un libro d’artista, anche quello oggi esposto, in cui Vercruysse ha raccolto cinque immagini (il disegno di una cornice, un’incisione antica, il particolare di un mosaico e quello di un affresco, la foto di una fontana) raddoppiate secondo caratteristiche diverse e ricomposte tre le pagine in una sequenza che costituisce una sorta di declinazione di come le immagini si possano presentare al nostro sguardo e stimolare i nostri sensi e il nostro intelletto: due si succedono identiche, due sono riprodotte in controparte, due sono alternate in bianco e nero e a colori, due sono duplicate una dritta e una capovolta.
(Paola Bonani)