Il processo di rinnovamento interno al Partito comunista cecoslovacco (KSÈ), che avrebbe dovuto portare al cosiddetto «socialismo dal volto umano», s'inizia ben prima del gennaio 1968. Scaturisce da molteplici fattori, ma innanzi tutto dalla presa d'atto che, dopo l'assunzione del potere da parte dei comunisti nel 1948, l'«edificazione della società socialista» in Cecoslovacchia ha prodotto risultati deprecabili. Le differenze tra l'ideale e la realtà si sono rivelate macroscopiche.
Nel 1967, alla fine di giugno, gli scrittori cecoslovacchi si riuniscono in un congresso che segna un punto si svolta: i relatori, in molti casi membri del Partito comunista cecoslovacco, negano apertamente il diritto morale del partito a ricoprire un ruolo di guida nella società, ne criticano le posizioni assunte negli anni Cinquanta e, non da ultimo, rivendicano l'autonomia della cultura. Ludvík Vaculík, Václav Havel, Milan Kundera, Pavel Kohout e Ivan Klíma pronunciano i discorsi più radicali, ma non sono i soli a chiedere l'abolizione della censura e l'introduzione della libertà di parola.
Nell'autunno del 1967 l'incapacità di affrontare i problemi della società cecoslovacca suscita nelle organizzazioni comuniste di base un'ondata di critiche rivolte al comitato centrale del partito comunista. Il comitato centrale riversa le critiche sulla persona del primo segretario, che allo stesso tempo era anche il presidente della repubblica, Antonín Novotný, inviso anche ai rappresentanti di nazionalità slovacca.
Tra ottobre e novembre 1967 gli studenti alloggiati nelle nuove strutture di Strahov, appena costruite, organizzano manifestazioni di protesta per le continue interruzioni della corrente elettrica. Gli studenti in marcia scandiscono lo slogan «Vogliamo la luce, vogliamo studiare». In via Nerudova, nei pressi del Castello di Praga, il pacifico corteo studentesco viene brutalmente assalito dalla polizia. Ne conseguono disordini e meeting studenteschi.
Sul finire del 1967 la debolezza della posizione di Novotný si accentua. All'inizio di gennaio 1968 egli viene privato della funzione di dirigente del partito comunista e per quasi tre mesi ricopre solamente l'ufficio di presidente della repubblica, di fatto privo di potere. Comincia così una fase nuova, sebbene relativamente breve, del processo di liberalizzazione in corso nella società cecoslovacca.
Dopo la revoca di Novotný, viene eletto primo segretario del comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco Alexander Dubèek, fino ad allora funzionario slovacco poco conosciuto. Dubèek è bene accetto a tutte le componenti del partito; il fatto che sia di nazionalità slovacca, inoltre, aiuta a pacificare i tesi rapporti ceco-slovacchi, messi in crisi da Novotný. Con il suo comportamento informale, Dubèek guadagna subito la simpatia dei media e quindi di vasti strati della popolazione.
Nella prima, lenta fase di liberalizzazione, i comunisti riformisti dichiarano di voler combattere innanzi tutto l'ipertrofia della burocrazia, la bassa produttività del lavoro e lo spreco delle risorse limitate. Tuttavia non mostrano l'intenzione né di produrre cambiamenti fondamentali, né di introdurre il pluralismo politico. Nessuno di loro parla di istituire un sistema democratico; la proposta è democratizzare la vita pubblica e il partito. Si tratta ancora solamente di ritocchi.
Con riferimento alla progressiva democratizzazione della società, la presidenza del partito comunista chiede le dimissioni di Novotný, la cui permanenza nella carica di presidente della repubblica getterebbe discredito sulla nuova dirigenza del partito. Al suo posto il 30 aprile 1968 viene eletto all'unanimità un veterano della Seconda guerra mondiale, il generale Ludvík Svoboda, che aveva comandato un'unità dell'esercito cecoslovacco in Unione Sovietica.
Il nuovo presidente nomina il nuovo governo, con a capo il riformista Oldøich Èerník, e il nuovo presidente dell'Assemblea Nazionale (il parlamento cecoslovacco), Josef Smrkovský. Il nuovo governo ha il compito, tra l'altro, di definire innanzi tutto l'esigenza di un ordinamento federale dello stato, e cioè di regolare i rapporti istituzionali tra cechi e slovacchi; deve inoltre varare riforme sociali ed economiche. Dichiara inoltre che «opererà con metodi e forme tali da rendere il proprio lavoro pienamente controllabile da parte dell'Assemblea Nazionale».
Alla fine del maggio 1968 il comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco dà il via libera all'economia di mercato, privandosi così della possibilità di intervenire in modo diretto nell'economia del paese. Le riforme dell'economia si propongono non solo di ridurre il grande dispendio di energia e di capitale, ma anche di combattere l'arretratezza del livello di vita in Cecoslovacchia rispetto agli stati europei occidentali. L'intento è di permettere alle imprese di liberarsi dalle pastoie della pianificazione socialista che impediscono loro di rispondere alla domanda effettiva dei consumatori.
A partire dal mese di marzo 1968 aumentano le espressioni di condanna del processo di democratizzazione cecoslovacco da parte dei «partiti fratelli» negli altri stati socialisti: si ribadisce la ferma intenzione di impedire il cambiamento del sistema sociale. All'inizio dell'estate, gli organi di stampa dei paesi socialisti cominciano a pubblicare notizie di carattere propagandistico e disinformativo: in Cecoslovacchia sarebbe in atto una controrivoluzione, e il paese avrebbe stretti contatti con l'«imperialismo occidentale».
Nel giugno 1968 gli eserciti del Patto di Varsavia eseguono in territorio cecoslovacco esercitazioni militari di cui il governo sovietico nascostamente approfitta per preparare la futura invasione. Alle esercitazioni militari si accompagnano i crescenti timori nella popolazione per gli attacchi indiscriminati che si svolgono sulla scena politica interna. Il ritiro delle truppe alla fine delle esercitazioni viene continuamente rallentato; avviene con un mese di ritardo, e solo grazie all'intensa attività diplomatica dei rappresentanti cecoslovacchi.
Alcuni quotidiani stampano l'appello dello scrittore Ludvík Vaculík intitolato Manifesto delle 2000 parole. Il manifesto contiene una valutazione della situazione politica e dichiara la necessità di continuare nel processo di riforma senza tener conto della posizione del Partito comunista cecoslovacco o eventualmente anche in contrasto con i suoi interessi. L'appello di Vaculík incontra ampio sostegno nell'opinione pubblica. Dopo gli eventi di agosto, il manifesto sarà dichiarato controrivoluzionario e Vaculík perseguito per le sue idee.
A causa dell'evoluzione incontrollabile del processo di riforma in Cecoslovacchia, a Varsavia viene convocata una riunione dei rappresentanti di Unione Sovietica, Repubblica Democratica Tedesca, Bulgaria, Polonia e Ungheria; in questa occasione viene formulata la cosiddetta dottrina brežneviana. Essa aveva alla base il dovere dei partiti comunisti di «difendere il socialismo», se necessario anche con un intervento militare. Di qui il diritto di intervenire negli affari interni degli stati socialisti satellite dell'Unione Sovietica, principio che viene tuttavia rifiutato dal comitato centrale del Partito comunista cecoslovacco.
Tra la fine di luglio e l'inizio di agosto 1968 i rappresentanti di Cecoslovacchia e Unione Sovietica si incontrano sul confine tra i due stati a Èierna nad Tisou, allo scopo di distendere i rapporti. I sovietici, come d'abitudine, esercitano pressioni esplicite e pesanti nei confronti dei cecoslovacchi. Le pressioni si rivelano tuttavia inefficaci sia in questa occasione, sia durante il successivo incontro all'inizio di agosto a Bratislava, dove si riuniscono anche gli altri firmatari della dottrina brežneviana.
Tenuto conto dello sforzo generale per migliorare la situazione economica non florida del paese, e anche in segno di sostegno alle riforme e alla politica estera del governo, nella popolazione e in alcune aziende si organizzano iniziative spontanee. Migliaia di cittadini e numerose aziende donano volontariamente somme di denaro e oggetti di valore (soprattutto oro) al cosiddetto Fondo per la Repubblica. A conclusione della raccolta, nel 1969 i fondi accumulati ammontano a circa duecentottanta milioni di corone e ottantasei chilogrammi di oro.
Circa cinquecentomila soldati sovietici e seimila carri armati occupano nella notte del 21 agosto 1968 la Cecoslovacchia, con il supporto di unità più piccole di altri quattro paesi membri del Patto di Varsavia (Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Ungheria e Bulgaria; la Romania non partecipa all'azione). Questo atto di aggressione internazionale culmina con il sequestro di sei dirigenti del Partito comunista cecoslovacco e dello Stato, condotti in Unione Sovietica contro la loro volontà. Negli scontri con le forze di occupazione e negli incidenti stradali da esse provocati, prima della fine dell'anno rimangono uccise centootto persone.
Il mondo democratico sgomento condanna unanimemente l'invasione militare della Cecoslovacchia, limitandosi tuttavia a manifestazioni sincere quanto simboliche di solidarietà. È una dura lezione per alcuni partiti comunisti europei, che hanno considerato fino a questo momento l'Unione Sovietica come un modello di comunismo. È evidente che non si può sostenere contemporaneamente diritti umani e democrazia da un lato e l'Unione Sovietica dall'altro.
A Praga, nel quartiere periferico di Vysoèany, viene convocato il XIV Congresso straordinario del Partito comunista cecoslovacco (in seguito considerato nullo), che si dichiara apertamente contro l'occupazione e chiede il ritiro degli eserciti stranieri. Circa milleduecento delegati approvano una serie di documenti e appelli alla popolazione e ai partiti comunisti e operai di tutto il mondo; chiedono che i dirigenti dello Stato e del partito arrestati vengano rilasciati. In segno di protesta contro l'occupazione e per il ritiro degli eserciti stranieri si proclama uno sciopero generale cui effettivamente aderisce tutto il paese.
La delegazione cecoslovacca a Mosca, cui si aggiungono gli uomini politici sequestrati, esprime il proprio consenso alla permanenza dell'esercito sovietico in Cecoslovacchia a tempo indeterminato e firma sotto pesanti pressioni il cosiddetto «verbale di Mosca»; solo František Kriegel si rifiuta di firmare. Questo documento vieta le organizzazioni «antisocialiste» e la socialdemocrazia, impone il controllo della stampa e cambiamenti nella dirigenza dello Stato. Contiene tuttavia la promessa del ritiro dell'esercito sovietico. In realtà i sovietici pretenderanno poi la firma di un accordo che prevede lo stanziamento «temporaneo» dell'esercito, accordo effettivamente raggiunto nell'ottobre 1968. L'ultimo soldato sovietico lascerà definitivamente la Cecoslovacchia solo nel 1991.
L'ondata di proteste dei cittadini cecoslovacchi contro l'occupazione e le sue conseguenze culmina all'inizio del 1969 nel rogo di tre giovani che si danno fuoco: dapprima gli studenti Jan Palach e Jan Zajíc, in aprile anche il delegato al congresso di Vysoèany Evžen Plocek. Il primo e il più noto dei tre, Jan Palach, il 16 gennaio in piazza Venceslao a Praga si cosparge di un liquido infiammabile e si dà fuoco. I suoi funerali il 25 gennaio diventano una manifestazione nazionale contro la «normalizzazione».
Il graduale allontanamento dei riformisti dalle funzioni politiche dominanti segna l'inizio della cosiddetta «normalizzazione». Le purghe riguardano l'intera società cecoslovacca: i cittadini che nel 1968 hanno dato il loro sostegno al processo riformista vengono colpiti dal divieto di svolgere la loro professione. La normalizzazione tende ad annullare la resistenza all'occupazione sovietica e a espellere dal partito comunista i membri inaffidabili. Gli espulsi perdono l'impiego, spesso sono costretti a svolgere lavori manuali e umili. Il dissenso nei confronti dell'occupazione e l'espulsione dal partito sono registrati nella «fedina politica» di ciascuno. Sarà questo spesso l'unico criterio decisivo per trovare un lavoro o essere ammessi all'università, e ad essere colpita è tutta la famiglia del «colpevole».
La posizione della maggioranza della popolazione cecoslovacca risulta evidente nel corso del primo anniversario dell'occupazione, quando le vivaci manifestazioni dei cittadini vengono duramente represse dalle milizie popolari (reparti armati formati da membri del partito comunista), dalla polizia e dall'esercito. I feriti sono numerosi, e cinque giovani vengono uccisi da miliziani non identificati. Queste manifestazioni di dissenso contro il regime sono le ultime di un certo rilievo per i lunghi vent'anni a venire.