Il progetto–ricerca Achilleide:
Pentesilea la macchina attoriale
[momento n.1 e n. 2]
In–Vulnerabilità di Achille
“L’Achilleide è una partitura polifonica scritta per un solista multiplo”. Maurizio Grande
La rivisitazione del mito di Achille occupa la ricerca di Bene dal 1989 al 2000. Nelle tre versioni teatrali (Pentesilea, momento n.1, 1989; momento n. 2, 1990 e In–Vulnerabilità di Achille, 2000) e nello studio Vulnerabile in–vulnerabilità e necrofilia in Achille. Poesia orale su scritto incidentato [1993]. La figura di Achille verte sull’inconsolato dolore per l’invulnerabilità amputata, sulla potenza dimezzata del “bastardo”, né dio né uomo, e di rimando “sul vulnerabile potere dell’attore che si presta allo spettacolo commissionato e ordito da altri”. Sulla scena popolata di resti, veli da sposa, manichini scomposti, Achille “meccanicamente prende
a ri–membrare questi resti, producendo mostri di bambole animate che attendono il soffio epico del non–più–eroe”.
Pentesilea nella versione teatrale del 1990, da cui quella televisiva del 1997, è affidata alla presenza in scena di un automa, di una bambola meccanica muta, un corpo smembrato, che nell’atto combinatorio di tutti i suoi possibili innesti si compone semprein un’immagine che non torna. Tentativo di ricostruire i frantumi d’un mondo pre verbale all’interno di un gioco semiotico infantile, pre significante, di cui la bambola–automa è simbolo: “Strappare la testa e lacerare il ventre sono temi spontanei dell’immaginazione dei bambini cui l’esperienza della bambola fatta a pezzi non fa che dar compimento”. Anche le frasi e le proposizioni sono stralciate dall’ordine discorsivo, restituendo a tratti l’opacità del testo poetico di Kleist. Gli enunciati emergono dalla luce accecante della scena che li disvela come fossero rovine di una lingua poetica abbandonata, resti adamantini d’una Macchina che ha smarrito il senso del suo stesso funzionamento. Allo stesso modo la partitura elettroacustica della messa in scena è strappata al sistema sinfonico per fendere la musicalità con asprezze dissonanti. L’acqua, lo strappo, il sibilo, da intendersi come logoi in sé significanti di cui si compone la Macchina Attoriale. La prosodia emerge a brandelli nelle spaziature, nelle interlinee e allitterazioni dei versi, come in questo passaggio in cui Pentesilea morente si esprime per il tramite di un rimando opaco a Cime Tempestose di Emily Bronte:
“[Ho] male... [mi] fa male... Dove? ...qui [?] Come un dolore che da risvegliati non si ricorda...”
Un dolore che si dica non abita più un corpo, non informa più del corpo, è il dolore stesso a dirsi in un corpo espropriato dei suoi organi, è Voce che si fa dolore.