Alexander Calder e Ugo Mulas: la mostra

23.10.2009__14.02.2010
Alexander Calder e Ugo Mulas: la mostra 23 ottobre 2009__14 febbraio 2010
Top
Immagine mostra

A cura di Pier Giovanni Castagnoli


Al secondo piano, è allestita una sezione della mostra Calder, intitolata Alexander Calder nelle fotografie di Ugo Mulas, curata da Pier Giovanni Castagnoli per l’Archivio Ugo Mulas di Milano, in collaborazione con il quale il progetto è stato realizzato.
E’ esposta una selezione di circa ottanta immagini, tutte stampe ai sali d’argento su carta baritata, realizzate dallo stesso autore (vintage) risalenti agli anni 1963-1968, scattate nelle case-studio abitate dall’artista a Roxbury nel Connecticut o a Saché in Francia, ma anche in altri luoghi che videro la presenza di Calder o delle sue opere

Il grande fotografo italiano prematuramente scomparso (Pozzolegno, Brescia 1928 – Milano 1974), conobbe Calder nel 1962 a Spoleto, quando Giovanni Carandente lo chiamò a documentare la mostra Sculture nella città per la quale l’artista realizzò il grande Teodelapio, che in seguitò donò alla cittadina umbra. Da allora nacque una solida e in tramontata amicizia che diede origine a un formidabile corpus di fotografie, una parte delle quali venne pubblicata nel 1971 in un libro nato dalla collaborazione tra Ugo Mulas, il critico H. Harvard Arnason e lo stesso artista (U. Mulas e H- H. Arnason, Calder, Milano 1971).

Nel 1973, Mulas in un libro con il quale volle ripercorrere le principali tappe del suo lavoro e che nell’insieme costituisce una fondamentale riflessione sul mezzo fotografico (Ugo Mulas, La fotografia, a cura di Paolo Fossati, Einaudi, Torino 1973), dedicò un testo a Calder intitolato L’amicizia (riprodotto nel catalogo della attuale mostra), nel quale leggiamo: “L'ambiente, l'uomo, l'amicizia hanno influito, spesso in modo decisivo, sul mio lavoro. E Calder ne è stato un protagonista. Per lui volevo fare qualcosa di molto bello, volevo delle fotografie che fossero significative del suo atteggiamento - dell'aspetto giocoso della sua opera - e poi fotografie affettuose, con la moglie, con le figlie coi nipoti, nella casa americana, a Roxbury, in quella sull'Indre, a Sachè, insomma foto da album ricordo. Dalle foto non doveva trasparire altra intenzione che quella di dichiarare il mio amore per la sua opera e la gioia che mi dava la sua amicizia. Un omaggio totale cercando di cogliere anche l'aspetto fisico, da patriarca un po' ironico, un po' burlone. Mi piaceva il fatto che si dedicava a tutto con uguale intensità, che riuscisse a costruire dei forchettoni o dei mestoli per la cucina non meno belli delle sue sculture (…) l'impegno e l'abilità con cui si muove per realizzare delle teste o delle figure con un solo filo di ferro, senza mai tagliarlo (…) oppure le gouaches fatte senza pennelli, giocando sul movimento e l'inclinazione del foglio (…)”.

Mulas, prima di concludere il suo percorso di lavoro con le Verifiche, “immagini che hanno per tema la fotografia stessa”, dedicò gran parte del suo impegno di fotografo all’arte, ma è più giusto dire agli artisti, studiandone con il suo obiettivo il comportamento con il desiderio di sintetizzare in una immagine i loro processi mentali. Fotografandoli negli studi, intenti nella realizzazione delle loro opere, nelle sale espositive, nei momenti conviviali o in quelli vissuti in solitudine. Celebri sono i suoi gruppi di fotografie, spesso divenuti libri: sulle Biennali di Venezia (dal 1954 al 1972, Le verifiche e la storia delle Biennali, a cura di Tommaso Trini, Venezia 1974), su David Smith (Giovanni Carandente, Voltron: David Smith, New York 1964), sugli artisti americani (New York: arte  e persone, con Alan R. Solomon, Milano, New York, Barcellona 1967), su Lucio Fontana (Lucio Fontana, con poesie di Nanni Balestrini, Milano 1968), su Fausto Melotti (Fausto Melotti, lo spazio inquieto, a cura di Paolo Fossati, con un testo di Italo Calvino, Torino 1971), Marcel Duchamp (Marcel Duchamp, Milano 1973), Pietro Consagra (Fotografare l’arte, con introduzione di Umberto Eco, Milano 1973), su Arnaldo Pomodoro (Guido Ballo, Alberto Boatto, Gillo Dorfles, Libro per le sculture di Arnaldo Pomodoro, Milano 1974).

La forza delle sue immagini è anche nel loro valore critico e interpretativo. Nella felice sintesi che l’autore seppe dare di ciò che osservava, dell’artista e del modo in cui questi faceva e intendeva l’opera. Il suo obiettivo, un vero e proprio occhio critico, è specchio di una esemplare attenzione rivolta verso gli altri: offre interessanti chiavi di lettura, concepite, per il loro alto valore estetico, come opere a se stanti.
Colpisce in alcune foto su Calder, il risalto dato alle mani dell’artista, con il quale sembra che Mulas abbia voluto sottolineare, nell’epoca in cui prevaleva una attitudine concettuale, il valore che lo scultore assegnava al fare artigiano, oppure il carattere gioioso dei mobiles assunto dallo stesso artista nelle pose burlesche donate all’obiettivo del suo amico, o le sequenze dove Mulas fa “ballare” un piccola figura stabile come a dimostrare che nell’opera di Calder non è mai possibile prescindere dal movimento.