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Carla Accardi

Biografia

1924

Nasce il 9 ottobre a Trapani da Antonio Accardi, ingegnere civile, e Vita Scalabrino, proprietaria delle antiche saline trapanesi «Galia». È la seconda di quattro figli, Franca, Gaspare, e Anna.
 

 
Carla Accardi, Autoritratto, 1942
matita e carboncino su carta
Archivio Accardi Sanfilippo

1943

Consegue la maturità classica e nell’estate si trasferisce con la madre a Palermo per sostenere l’esame da privatista e conseguire anche la maturità artistica. In autunno si iscrive per alcuni mesi all’Accademia di Belle Arti, dove conosce Antonio Sanfilippo.
 

Carla Accardi, Autoritratto, 1946
olio su tela
Archivio Accardi Sanfilippo

1946

All’inizio dell’anno lascia Palermo e si trasferisce a Firenze, dove riprende gli studi all’Accademia di Belle Arti. Incontra di nuovo Sanfilippo con il quale diserta spesso le lezioni per andare a copiare le opere del Beato Angelico al Convento di San Marco.

In primavera trascorre un breve periodo a Roma dove decide di stabilirsi definitivamente in autunno. Va a vivere in un appartamento di un amico di famiglia a Palazzo Doria.

Sanfilippo gli presenta Giulio Turcato e Pietro Consagra, che era all’epoca ospite a via Margutta nello studio di Renato Guttuso. Lo studio di Guttuso, allora scherzosamente soprannominato ‘il Palazzo dei Normanni’ per la presenza dei molti artisti siciliani, tra cui la stessa Carla Accardi, è in quell’immediato dopoguerra uno dei luoghi di passaggio e di scambio di idee, di informazioni, di esperienze e di programmi. Uno dei molti luoghi che resero la Roma di quegli anni una città euforica e movimentata, luogo d’incontro di artisti e di letterati provenienti da diverse parti d’Italia e del mondo.

Il magistero di Guttuso e della cultura visiva che innervava al tempo la sua pittura (i colori fauve, gli spigoli post-cubisti, la presenza etica delle tenaglie) è evidente nelle opere di quell’anno come la Natura morta dipinta nell’estate del 1946, esposta in questa sala.

Sempre tramite Sanfilippo conosce e frequenta assidua-mente anche Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli e il più anziano Gino Severini.

Severini veniva a trovarci, ci comunicava la sua visione futurista, le esperienze parigine e apprezzava molto i lavori del gruppo; ricordo con piacere il suo commento nel guardare i miei lavori che definì “pieni di verve”.

Alla fine del 1946, in occasione di uno scambio culturale tra studenti organizzato dalla Federazione Giovanile Comunista e dall’Union Nationale des Étudiants de France, parte per Parigi insieme a Consagra, Sanfilippo, Turcato, Ugo Attardi e Concetto Maugeri. Quel viaggio le consente un ampio sguardo sull’avanguardia europea. Tra le visite che inoltre la suggestionano maggiormente c’è quella al Musée de l’Homme dove ammira l’arte africana che tanto aveva affascinato i pittori cubisti.

[…] ho avuto un forte stimolo dal Musée de l’Homme. In questo luogo-documento dell’attività umana ho trovato ispirazione per una lunga serie di segni, incastri e forme di carattere arcaico […]

 

 
Carla Accardi, Natura morta, 1946
olio su tela
Archivio Accardi Sanfilippo

1947

Il 15 marzo firma insieme ad Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo e Turcato il manifesto che sarà pubblicato sul primo numero della rivista «Forma», in cui si legge:

Noi ci proclamiamo FORMALISTI e MARXISTI, convinti che i termini marxismo e formalismo non siano INCONCILIABILI […]. Il quadro, la scultura, presentano come mezzi d’espressione: il colore, il disegno, le masse plastiche, e come fine un’armonia di forme pure. […]. Nel nostro lavoro adoperiamo le forme della realtà oggettiva come mezzi per giungere a forme astratte oggettive, ci interessa la forma del limone e non il limone.

 

 
Pietro Consagra, Ugo Attardi,
Mino Guerrini, Carla Accardi, Achille Perilli,
Antonio Sanfilippo, Piero Dorazio,
Roma, 1947

 
Con questo testo inizia la breve ma intensa vicenda di quello che è stato talvolta definito un gruppo, ma che fu in realtà più la felice convergenza di intenti di alcuni giovani artisti, desiderosi dopo le dure vicende della guerra di affermare la propria indipendenza creativa, di aprirsi nuovamente al contatto con le ricerche più avanzate in campo internazionale, di coniugare le loro convinzioni etiche e politiche con un linguaggio contemporaneo fatto di forme pure, libere da qualsiasi obbligo di rappresentazione della realtà.

Sulla rivista viene pubblicato il piccolo dipinto Vista su campo da tennis, oggi esposto in questa sala.

Esegue quell’anno anche le prime opere completamente astratte, che intitola Scomposizioni, e aderisce all’Art Club, l’Associazione Artistica Indipendente, con cui espone, insieme agli altri artisti di Forma alla Galleria di Roma a dicembre. Fondata nel marzo del 1945 per sostenere e promuovere il lavoro degli artisti italiani, sia figurativi sia astratti, soprattutto in rapporto al contesto culturale internazionale, l’associazione, sotto l’influenza di Enrico Prampolini, uno dei suoi fondatori che ne diverrà presidente nel 1951, si orienterà sempre più verso il sostegno delle ricerche non-oggettive e astratte.
 

 
«Forma 1», Roma, aprile 1947

1948-1952

Nella primavera del 1948 prende parte alla mostra Arte astratta e concreta alla Galleria di Roma, prima importante occasione di raccolta degli artisti operanti nell’ambito dell’astrazione, non solo romani, tra cui, accanto al gruppo Forma, Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Alberto Magnelli, Bruno Munari, Enrico Prampolini, Mauro Reggiani, Atanasio Soldati ed Emilio Vedova. Nel foglio-catalogo della mostra è riprodotta la Composizione del 1947, oggi nelle collezioni dello CSAC di Parma e qui esposta.

Lo stesso anno partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia con una Composizione, accettata dalla commissione inviti dell’ente.

Nel settembre del 1949 sposa Antonio Sanfilippo.

Nel novembre del 1950 tiene la sua prima mostra personale, presentata da Turcato, alla libreria Age d’Or di Roma, aperta a via del Babuino da Dorazio, Guerrini e Perilli. Una vetrina su strada con un piccolo retro, in cui si potevano trovare pubblicazioni d’arte di editori internazionali d’avanguardia, come George Wittenborn, e riviste come «Art d’aujourd’hui» e «Architecture d’aujourd’hui». Presenta una serie di quindici tempere su carta, alcune delle quali sono oggi presentate qui in mostra, che testimoniano un allontanamento delle ricerche postcubiste dell’immediato dopoguerra.
 
 

 
Mostra personale 15 tempere, Age d’Or, Roma, 1950
A sinistra Achille Perilli e Piero Dorazio
Foto Ezio Graffeo - Fotoreportages
 

Nel 1951 tiene, con Sanfilippo, una doppia personale alla Libreria Salto di Milano, punto di ritrovo del Mac (Movimento Arte Concreta) e prende parte, unica donna, alla mostra Arte astratta e concreta in Italia alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che raccoglie le ricerche dei maggiori gruppi astratti italiani, dal MAC milanese all’Art Club, dall’astrattismo fiorentino al gruppo Forma.

Sempre nel 1951, prima dell’estate, trasferisce la sua casa-studio da via Masolino da Panicale a via del Babuino, dove vivrà tutta la vita.

In ottobre nasce la figlia Antonella.

A dicembre torna a Parigi dove incontra Alberto Magnelli e Hans Hartung, ai cui segni liberi e gestuali Accardi dichiara in più occasioni di aver guardato.

Nel febbraio del 1952 espone alcune tele recenti in una personale alla Galleria Il Pincio di Roma, poi trasferita a luglio alla Galleria Il Cavallino di Venezia. Tra le opere esposte in quell’occasione figurano le due Isole, entrambe del 1951, ripresentate oggi in questa sala, che testimoniano il momento di maggiore vicinanza alla pittura di Alberto Magnelli, con la composizione articolata attraverso forme definite e nette di colore sospese sul fondo più chiaro della tela.

1953

A primavera partecipa ad un’altra occasione di confronto tra le ricerche italiane e quelle europee, l’Esposizione d’arte astratta italiana e francese, organizzata sempre dall’Art Club alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Comincia quell’anno a dipingere per terra, giungendo presto alla definizione di un linguaggio del tutto originale.

Era stato un anno di crisi, ero molto scoraggiata e credevo di non poter far più niente nella pittura. E in isolamento ho iniziato a disegnare direttamente per terra, a tracciare dei segni. Però ho usato il bianco sul nero, perché nero su bianco non mi stimolava per la sua ovvietà, per il fatto che l’artista deve avere in quel particolare momento una sensazione di unicità, di novità che lo spinga. Poi, da quel momento, ho incominciato a fare dei disegni elaborati da me uno dopo l’altro, che hanno prodotto questi segni fortemente differenziati in bianco e nero. Queste cose le ho fatte subito per terra, e per anni ho dipinto così perché non potevo concepire questo tracciare dei segni legato alla pittura di cavalletto. […] Appunto nell’isolamento ho cominciato con dei segni senza alcuna grazia; poi però proprio dal loro studio è nata tutta una popolazione, una selva, una natura reinventata, o parallela alla natura delle grandi costruzioni che venivano poi da me sognate, intraviste, quando tornavo la sera nello studio, da sola nella penombra.

 

1955

Il critico francese Michel Tapié, che aveva visto il suo lavoro in una collettiva tenutasi l’anno precedente presso la Galleria dell’Asterisco a Roma, dove Accardi esponeva insieme a Capogrossi, Consagra, Perilli, Sanfilippo e Turcato, la invita a partecipare alla seconda edizione della rassegna internazionale Individualités d’aujourd’hui alla Galerie Rive Droite di Parigi. La mostra raccoglie alcuni degli artisti internazionali che di lì a breve il critico annovererà sotto l’etichetta dell’art autre, tra gli altri, Karel Appel, Alberto Burri, Gianni Dova, Claire Falkenstein, Sam Francis, Georges  Mathieu, Alfonso Ossorio, Serge Poliakoff, Jean-Paul Riopelle. La mostra sarà trasferita subito dopo a Roma alla Galleria Spazio, aperta dall’architetto Luigi Moretti e diretta dallo stesso Tapié.
 

 
Mostra Individualità d’oggi, Galleria Spazio, Roma, 1955.
Con Luigi Moretti, Claire Falkenstein,
Jaroslav Serpan e Michel Tapié

Foto Agenzia Cavallari
 

A giugno espone per la prima volta un nucleo importante di lavori in bianco e nero in una mostra personale alla Galleria San Marco di Roma, presentata dal pittore e critico americano Hereward Lester Cooke. Accardi dichiara in quell’occasione:

Solo attraverso la nozione della notte conosco il giorno, o attraverso la nozione del freddo conosco il caldo. Questi contrasti li esprimo nella mia pittura sovrapponendo il nero al bianco, o mettendo un circolo vicino a una forma contrastante. Voglio esprimere l’armonia che esiste quando un essere animato volge ciechi occhi verso il calore e il sole, e dà segno di vita. Cerco di rispecchiare l’energia primordiale e i contrasti violenti della vita stessa. Le forme che appaiono nella mia pittura non derivano nulla dal mondo visibile o tattile […]. I valori formali, l’armonia dei colori, la disposizione del disegno della mia pittura possono piacere o non piacere; per me questo non ha importanza, essi sono solo mezzi per raggiungere un fine […] il mio scopo è di rappresentare l’impulso vitale che è nel mondo.

  

 
Structures en devenir, pieghevole,
Galerie Stadler, Parigi, 1956

1956-1958

Sono gli anni che segnano l’avvio di solidi rapporti con alcune importanti gallerie d’arte, con la galleria di Rodolphe Stadler a Parigi, a Milano con L’Ariete di Beatrice Monti, a Torino con la Galleria Notizie di Luciano Pistoi e a Roma con La Salita di Gian Tomaso Liverani. Punte di diamante, queste ultime, nel sistema dell’arte italiano i cui fondatori e audaci curatori furono tra i pochi, trascorsa l’euforica larghezza di vedute del dopoguerra, a dare sistematicamente voce alle presenze femminili.

Il 1956 si apre con una personale presentata da Michel Tapié alla Galerie Stadler di Parigi. Conosce Henri Michaux, Jean Fautrier e Georges Mathieu. Nella stessa galleria a settembre Tapié la invita a prendere parte alla mostra collettiva Structures en devenir.

In quegli anni Tapié accosta nella sua lettura critica una compagine di artisti provenienti da tutto il mondo, dall’America al Giappone, dalla Francia all’Italia, le cui ricerche sono dirette a formulare, attraverso una sorta di tabula rasa dei codici linguistici precedenti, un nuovo vocabolario di segni e di materie completamente libero dal condizionamento della rappresentazione della realtà:

Davanti alle opere autre dobbiamo vivere il loro contenuto, generato dai loro ritmi, dalle loro forme, dai loro spazi e dalle loro composizioni, e da tutto ciò che contribuisce a creare le loro strutture interventistiche (la magia dell’arte).

Sempre Tapié introduce nell’ottobre del 1957 la mostra personale alla Galleria dell’Ariete di Milano e nel 1958 la successiva personale alla Galleria La Salita di Roma. Le due mostre raccolgono alcune delle opere più impegnative della serie dei Labirinti, degli Assedi, delle Integrazioni: opere radicalmente dipinte con i segni bianchi su fondo nero o neri su fondo bianco, a cui solo in alcuni casi si unisce il rosso.

Accardi dichiara a proposito di questi lavori:

Il segno da solo non vale per sé, ma esso esiste in rapporto ad altri segni dal momento che forma con essi una struttura, e diventa espressione artistica (nella struttura) allorché porta (in una comunità compatta) il suo valore simbolico e individualistico, e perdendo ciò che ha di arbitrario acquista nel tutto un magico e intelligente significato di rigorosa necessità ma insieme di gioco imprevedibile (e ambiguo).

In queste due occasioni l’artista dispone i quadri sulle pareti con libertà e fuori da ogni convenzione, quasi riproponendo tra quadri e parete la relazione esistente nelle tele tra i segni e lo sfondo. In una foto scattata da Jacqueline Vodoz alla personale alla Galleria dell’Ariete di Milano nell’ottobre del 1957, vediamo il dipinto Grande integrazione appeso alla parete in alto, decisamente al di sopra dell’orizzonte visivo di un individuo, e Assedio rosso n. 3 collocato decisamente al di sotto. Le due tele, che per un breve tratto erano poste l’una sopra l’altra, davano vita a una struttura dinamica, a una sorta di chiasma. Le due opere sono oggi allestite nella sala 2 con la stessa relazione e vicinanza. In una foto scattata nel 1958 alla Galleria La Salita, la grande e complessa Integrazione del 1957, oggi anche qui esposta, è affiancata da due tele più piccole, una delle quali spiccava in alto fin quasi sotto il soffitto.

La vicinanza con Tapié le offre inoltre l’opportunità di esporre in diverse collettive all’estero, a Parigi, a Osaka, a Düsseldorf, mentre a Roma negli stessi anni partecipa alla mostra inaugurale della Rome-New York Art Foundation, aperta nel 1957 dalla mecenate americana Frances McCann sull’Isola Tiberina, e nel 1958 alla mostra curata nella stessa sede da Lionello Venturi intitolata Nuove tendenze dell’arte italiana.
 

 
Mostra personale, Galleria La Salita, Roma, 1958
Foto Boccardi

1959-1960

Nel 1959 tiene una nuova personale alla Galleria La Salita di Roma presentata dal critico francese Pierre Restany. In alcune delle Integrazioni raccolte in questa occasione torna a utilizzare il colore, il grigio, il blu, il viola, mentre i segni sono talvolta raccolti a formare più definite e compatte strutture che si stagliano sul fondo uniforme delle tele. Una necessità di cambiamento legata al colore comincia a muoverla in quegli anni:

Fu un desiderio di pormi di fronte al colore, come verità della pittura; tutto il bianco-nero era stato una radicalizzazione; volli trovare un colore che fosse così radicale come il bianco-nero. Dovevo anche alleggerire la tensione di quel mondo nel quale mi ero immersa, e rilanciare questa tensione su un altro versante.
Rischiavo altrimenti di trascinarmi verso uno svuotamento. Non sopporto la ripetizione di cifre che non mantengono tensione, mentre amo la ripetizione come recupero.

Continua intanto il suo rapporto con Michel Tapié. Il critico presenta, insieme a Enrico Crispolti, la nuova personale alla Galleria Notizie di Torino nel febbraio del 1960, e nel giungo dello stesso anno la invita a partecipare alla mostra di apertura del International Center of Aesthetic Research, creato a Torino per diffondere le ricerche dell’arte informale. Sempre nel 1960 Tapié inserisce poi una sua opera nel famoso volume Morphologie Autre, che pubblica quello stesso anno, dedicato proprio alla sua visione di un’arte nuova basata sulle infinite possibilità espressive del segno.

L’opera Integrazione con grigio, qui in mostra, entra nelle collezioni del Premio Termoli vincendo il premio acquisto dell’edizione del 1960.
 

 
Mostra personale,
manifesto-catalogo,
Parma Gallery, New York, 1961

1961-1964

Il nuovo decennio si apre con nuove e importanti mostre all’estero. Nel maggio del 1961 tiene la sua prima personale oltreoceano, alla Parma Gallery di New York, presentata da Lionello Venturi, e a giugno, sempre Venturi, introduce la personale alla galleria New Vision Center di Londra. Prende parte a mostre collettive a Tokyo, Bochum, Amsterdam, Minneapolis e Buenos Aires.

In occasione di una nuova personale alla Galleria La Salita di Roma nel 1961 presenta il dittico Grande rettangolo grigio (1960), oggi qui esposto, poggiato per terra, con la tela di sinistra leggermente aggettante dal muro. Una scelta forse dettata dalle misure dell’ambiente, ma che mostra in ogni caso l’eccezionale libertà di far debordare il grande dipinto nello spazio abitabile, oltre il luogo deputato della parete.

Il rapporto della pittura con lo spazio, insieme al colore e alla luce divengono sempre più il centro della sua ricerca. Nelle opere dei primi anni Sessanta i segni si fanno progressivamente più sottili, simili più a segni di una calligrafia anche se priva di possibile interpretazione. Allineati uno dopo l’altro, senza soluzione di continuità, questi nuovi segni formano linee approssimativamente parallele e sinuose. Contemporaneamente il colore torna a essere acceso e brillante, come nelle opere giovanili, ma attestato, come per il bianco e nero, su singole coppie di opposti, tautologicamente indicate nei titoli dei quadri, come in Rossoverde (1963) e Verderosso (1963), esposti nella sala 3.

Accostando un colore ad un altro, che può essere sia puro che mescolato, ma in ogni caso pulito, cioè sempre equivalente ad un raggio di luce colorata, lungo il margine di contatto si crea un bagliore più chiaro dei due colori accostati. Questa proprietà si chiama additiva indicando essa un aumento di luce, mentre quando due colori si mescolano insieme amalgamandoli abbiamo la proprietà sottrattiva, cioè, diminuzione di luce.

Una serie di questi nuovi lavori, elettrizzanti per l’accoppiamento dei colori – tra questi Striscia votiva e Oriente, esposti oggi in sala 3 – è presentata alla Biennale di Venezia del 1964, dove l’artista ha una sala personale su proposta di Lucio Fontana, membro quell’anno della commissione dell’ente. Tra le altre opere esposte c’è anche Ombra su Dallas, dedicato al Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy ucciso pochi mesi prima.

Alla Biennale di Venezia forte interesse suscita in lei la pittura della post-painterly abstraction, alcuni dei cui componenti sono presenti nel Padiglione americano della Biennale, tra questi Morris Louis, Kenneth Noland e Frank Stella, a cui Accardi dedica quello stesso anno una coppia di lavori, uno dei quali, Seconda stella, è esposto qui in sala 3. La post-painterly abstraction, così battezzata dal critico Clement Greenberg nello stesso 1964, raggruppa alcune ricerche di segno opposto rispetto al precedente espressionismo astratto, impegnate nell’elaborazione di un’astrazione dalle forme pure, rigorose e, in alcuni casi, dalle strutture geometrizzanti. 

La sala della biennale è introdotta in catalogo da Carla Lonzi. La loro amicizia, nata proprio intorno al 1963, le permette di consolidare e rinnovare importanti sodalizi, con Pietro Consagra e Luciano Pistoi, e con la giovane generazione di artisti, soprattutto Giulio Paolini e Luciano Fabro.

A quegli anni risalgono anche i primi contatti con i poeti. Adriano Spatola pubblica una sua opera sulla rivista letteraria «Malebolge».

1965

Realizza quell’anno le prime opere in sicofoil, un acetato trasparente, oggi non più prodotto, in cui l’artista racconta in più occasioni di essersi imbattuta per caso. Le prime opere realizzate con questo materiale sono i Rotoli e i Coni, alcuni dei quali sono ora esposti in sala 3. L’artista li realizza dipingendo il foglio di sicofoil (sovrapponendolo a un foglio di carta bianca per meglio controllare i segni) e lasciando poi che questo si riarrotoli alla maniera in cui era stato predisposto per essere commercializzato.

Come l’uso del bianco e nero negli anni Cinquanta, anche la scelta della trasparenza del sicofoil e dei colori fluorescenti dei primi anni Sessanta confermano un’esigenza di rimessa in discussione dello statuto tradizionale della pittura:

[…] dopo la mia partecipazione alla Biennale, ho cominciato a usare il colore fluorescente su tela. Il colore fluorescente esprimeva la mia ricerca di una luce sempre maggiore, perché la fluorescenza di questo colore sembra illuminata da un raggio di sole, mentre il colore normale, anche se è un rosso cadmio, sembra sempre un po’ ombrato. Il materiale trasparente, che poi ho usato, ho avuto occasione di utilizzarlo per una cosa che mi avevano chiesto. Così, la trasparenza e il colore fluorescente vengono tutti e due da quella mia scelta di radicalizzazione verso un cammino di “antipittura”; è sempre stato il mio motivo ispiratore.

Queste nuove opere sono presentate per la prima volta in pubblico in occasione di una mostra collettiva tenutasi nel maggio del 1965 alla Galleria Notizie di Torino con Enrico Castellani, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto e Cy Twombly.

Sovrapponendo due fogli di sicofoil, uno dipinto con segni verdi, l’altro con segni rosso fluorescente, inizia a realizzare la Tenda, presentata l’anno successivo alla Galleria Notizie di Torino e oggi qui esposta nella sala 3. Quest’opera estremizza la sua attitudine a spostarsi dai luoghi deputati della pittura (con i segni che irradiano ai bordi della tela, con i quadri che raggiungono il soffitto o con quelli che si scostano dalla parete) offrendo un’integrazione, allora del tutto inedita, tra pittura e ambiente, ossia tra il segno e lo spazio vissuto non più evocato dal fondo dei quadri, ma abitabile.     

C’è anche la volontà di smitizzare, di desacralizzare il quadro. Lo spazio è passato dalla percezione pura alla realtà di veri ambienti. […]. La luce ha trovato nuovi tramiti: la plastica e i colori fluorescenti. Il quadro non è esistito più perché ho posto in vista il supporto e resi anonimi i miei segni.

A novembre del 1965 si tiene la prima ricostruzione storica sull’esperienza di Forma alla Galleria L’Arco d’Alibert di Roma con contributi di importanti storici dell’arte come Umbro Apollonio, Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Maurizio Calvesi, Gillo Dorfles, Corrado Maltese, Nello Ponente, Marisa Volpi e una cronologia curata da Maurizio Fagiolo dell’Arco.
 

 
Carla Accardi con Carla Lonzi,
Luciano Fabro, Giulio Paolini e Luciano Pistoi,
Alba, 1966.
Foto Anna Piva.
Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini

1966-1969 

A maggio del 1966 presenta per la prima volta la Tenda in una mostra alla Galleria Notizie di Torino, con la presentazione in catalogo di Carla Lonzi. L’opera viene poi esposta nuovamente a ottobre e a novembre, insieme a una serie di Rotoli e Coni, alla Galleria dell’Ariete di Milano e poi alla Galerie M.E. Thelen di Essen, con l’introduzione di Udo Kultermann, che mette in relazioni queste opere con le coeve ricerche statunitensi degli environments.

A giugno del 1966 Carla Lonzi pubblica un lungo dialogo con l’artista sulla rivista «Marcatrè».

Nel 1967 è presente nel Padiglione Italiano dell’Esposizione Universale a Montreal e a settembre è invitata alla mostra Exhibition of Contemporary Italian Art al Museum of Contemporary Art di Tokyo.

Nel marzo del 1968 presenta alla Galleria Marlborough di Roma Ambiente arancio, un ulteriore sviluppo nella dimensione ambientale della pittura su sicofoil. L’opera occupa una della sale della galleria con un ombrello, un lettino con la lunetta parasole e un cuscino, un rotolo e sette pannelli di sicofoil disposti sul pavimento.

Nel maggio del 1968 espone i lavori in sicofoil per la prima volta negli Stati Uniti. La Tenda, con alcuni Rotoli e Coni sono inclusi nella rassegna Recent Italian Painting and Sculpture al Jewish Museum di New York.

Nel febbraio del 1969 partecipa con alcuni Rotoli alla rassegna di happening, film, eventi teatrali, Karnhoval, che si svolge a Rieti, insieme a letterati e artisti come Mario Diacono, Dario Bellezza, Adriano Spatola, Valentino Zeichen, Piero Gilardi ed Ettore Spalletti.

Carla Accardi figura, unica donna, tra gli artisti in conversa-zione con Carla Lonzi nel libro Autoritratto pubblicato nel 1969, in cui l’autrice, congedandosi dalla critica d’arte, ne mette in crisi assunti e prassi.

Alla fine del 1969 inizia a lavorare alla realizzazione della Triplice tenda. Quest’opera, la più impegnativa della serie degli ambienti, oggi qui esposta nella rotonda, ribadisce ancora una volta il desiderio di far coincidere lo spazio dell’opera con uno spazio abitabile, a misura dell’individuo in rapporto dialettico con lo spazio degli altri. L’opera, in cui originariamente era possibile accedere, è costituita da tre diversi ambienti posti uno dentro l’altro, con gli ingressi non allineati. Lo spazio che li separa, anch’esso originariamente percorribile, ha il tracciato straniante di un labirinto, percorso già evocato nei titoli dei dipinti degli anni Cinquanta, che l’artista riproporrà anni dopo nella sua Casa labirinto (1999-2000).

La Triplice tenda viene presentata per la prima volta alla galleria QUI arte contemporanea Centro d’Arte Editalia di Roma nel febbraio del 1971. Toni Maraini nel suo testo nel pieghevole scrive:

[…] la tenda è un vuoto appena ammaestrato. Un’area in possibilità di risaldarsi alla vastità indifferenziata […]. Il suo limite non è la terra, né il campo, né la proprietà ma il cielo e le stagioni, il gregge e le conquiste e vicissitudini territoriali della comunità. È ecologicamente ridondante. Il suo tempo non lineare; la sua cultura non accumulatrice.

 

 
Carla Accardi nella casa-studio di via del Babuino,
Roma, 1966.
Foto Ugo Mulas

1970-1975 

Nel 1970 fonda con Carla Lonzi ed Elvira Banotti il gruppo di Rivolta femminile, tra i primi e più radicali gruppi del femminismo italiano. Atto costitutivo del gruppo è la redazione del Manifesto di Rivolta Femminile. Sul manifesto compare per la prima volta il simbolo del movimento, prelevato da uno dei segni dal repertorio di Carla Accardi.
 

 
Rivolta femminile, Roma, luglio 1970

  
Nel 1971 la militanza nel gruppo le costa la sospensione dall’insegnamento causata dall’indagine condotta tra le alunne della scuola media Giovanni Papini di Roma presso cui insegnava, e poi pubblicata in uno dei famosi libretti verdi del gruppo: Carla Accardi, Superiore e inferiore. Conversazioni fra le ragazzine delle Scuole Medie, Scritti di Rivolta Femminile, Roma 1972. 

Sempre nel 1971, a luglio presenta la Triplice tenda alla Walker Art Gallery di Liverpool in occasione della mostra New Italian Art 1953-1971, dove espone accanto ad Afro, Alberto Burri, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Eliseo Mattiacci, Giulio Paolini e Michelangelo Pistoletto. A settembre, partecipa alla nona edizione della Biennale di San Paolo in Brasile.

Tra il 1971 e il 1972 Carla Accardi sperimenta un nuovo repertorio di segni, grigi e neri, come quelli che compaiono su Cilindrocono e Tre triangoli, entrambi del 1972, qui esposti in sala 4.

Le nuove opere sono esposte prima alla Galleria Christian Stein di Torino e poi alla galleria QUI arte contemporanea Galleria Editalia di Roma. L’artista ricorda:

Dopo il “periodo della Triplice tenda” c’è stato quello in cui ho usato i grigi. Ho fatto un paravento, un cono e un cilindro, e poi molti quadri in cui ho usato i grigi, i neri e i bianchi in diverse gradazioni. Intanto il segno era cambiato, aveva subito delle trasformazioni ed era diventato ripetitivo, anonimo, voleva essere solo una particella, sempre di una struttura, ma variante all’infinito… In quegli anni ho avuto un grande interesse per il femminismo, contemporaneo a quel periodo in cui facevo i grigi, i neri… e poi sono arrivata a fare dei quadri in cui non c’era più nessun segno.

Lo stesso anno si reca con l’amica Toni Maraini in Marocco e inizia a collaborare con la Galerie L’Atelier di Rabat di Pauline de Mazières, dove tiene una mostra personale a dicembre.

Su commissione dell’architetto Patrice de Mazières, marito della gallerista, realizza a Tangeri un bassorilievo per un albergo del Ministero del Turismo, oggi Hotel Tarik, trasferen-do su legno frammenti di segni che aveva utilizzato in alcuni dipinti della metà degli anni Sessanta, come Moltiplicazione verdeargento (1964), esposto qui in sala 4.

Nel 1972 inizia la realizzazione di una nuova serie di opere, grandi lenzuoli dipinti con segni geometrici, che presenta nella primavera del 1974 alla Galleria Editalia nella mostra Carla Accardi. Sette lenzuoli. Nella sua presentazione Maurizio Fagiolo dell’Arco mette in relazione questi lavori sia con le coeve ricerche della pittura analitica di Carlo Battaglia, Giorgio Griffa, Claudio Verna, Marco Gastini, Rodolfo Aricò, sia con le ricerche concettuali impegnate in una ridefinizione dei meccanismi della visione di Giulio Paolini, Luciano Fabro, Vicenzo Agnetti e Maurizio Mochetti.

Nel febbraio 1973 partecipa alla decima edizione della Quadriennale di Roma nell’ambito della mostra Situazione dell’arte non figurativa.

Tra il 1974 e il 1975 realizza i primi sicofoil completamente trasparenti, alcuni dei quali sono raccolti oggi in sala 5. In queste opere la pittura lascia completamente il passo all’intervento diretto sul materiale plastico, che l’artista taglia a strisce e dispone in intrecci regolari. Queste opere contengono la stessa radicale tensione, come lei stessa ha dichiarato in più occasioni, verso un’idea di anti-pittura, che aveva caratterizzato già le opere in bianco e nero degli anni Cinquanta, e lo stesso interesse per le potenzialità espressive della luce.
 

 
Carla Accardi, Parete a Tangeri, 1972,
opera realizzata per un albergo del Ministero del Turismo,
ora Hotel Tarik, Tangeri

1976 

Nei primi mesi dell’anno fonda la Cooperativa di via Beato Angelico insieme a Nilde Carabba, Franca Chiabra, Anna Maria Colucci, Regina Della Noce, Nedda Guidi, Eva Menzio, Teresa Montemaggiori, Stephanie Ousler, Suzanne Santoro e Silvia Truppi. La cooperativa si propone di presentare donne artiste e di studiare e documentare il loro lavoro, e avvia la sua attività con una mostra su Artemisia Gentileschi, curata da Eva Menzio.

Alla cooperativa, a maggio, in occasione della sua personale, Accardi presenta l’opera Origine. Questo lavoro è oggi considerato il più emblematico degli anni del suo impegno femminista. L’opera è collocata in un ambiente di passaggio, su due pareti affrontate. Su una parete l’artista fissa, in verticale, sei strisce di sicofoil intervallate dalle foto di sua madre, alcune risalenti al periodo degli studi da lei trascorso a Roma, altre successive insieme alla piccola Carla. Sull’altra parete colloca solo le strisce di sicofoil. Separatamente, in una nicchia, inserisce la foto di una sua antenata all’interno di una cornice d’epoca.

L’opera viene riallestita nuovamente solo nel 2007. Alcune delle fotografie vengono in quell’occasione sostituite da Carla Accardi stessa con suoi ritratti da bambina, da adolescente e nei suoi primi anni romani.

L’opera, oggi riproposta in mostra per la prima volta nel suo allestimento originale, è un ambiente percorribile, nel quale rinvenire le tracce della propria storia, che può essere messo in relazione sia alla Narrative art, che proprio in quegli anni proponeva narrazioni biografiche attraverso una commistione di immagini fotografiche e testi, sia interpretata come un tributo dell’artista alla pratica femminista dell’autocoscienza.

Nell’estate del 1976 è invitata con la Tenda (1965-1966) alla Biennale di Venezia nell’ambito della mostra Ambiente/Arte, curata da Germano Celant.
 

 
Mostra Ambiente/Arte,
Biennale di Venezia, 1976.
Foto Alfio di Bella

1977-1980 

Alla fine del decennio un nuovo cambiamento si profila nella ricerca dell’artista, che rimette in discussione l’azzeramento raggiunto con i quadri Trasparenti:

A quel punto non avevo più sbocchi, perché avevo fatto una cosa che poteva essere considerata come definitiva: non potevo più dipingere. Allora ho pensato che dovessi ricominciare ma per non ricominciare dal centro del quadro ho dipinto i telai. Alla fine degli anni Settanta ho fatto diversi lavori di questo tipo, dei grandi telai triangolari, delle cataste, o delle variazioni geometriche all’interno del telaio.

Realizza allora infatti un nucleo di nuovi lavori, che chiama in diverse occasioni “giochi galleggianti”. In queste opere la superficie del quadro è ancora un diaframma trasparente. La pittura compare ai margini, sulle traverse dei telai assemblati in rettangoli, triangoli, trapezi – Dimenticare e mettersi in salvo, Dieci triangoli, Due rettangoli mimetici, Quattro trapezi verdi – o in un ottagono – Ottagono verdearancio – o in altre forme inventate come in Quadrato a spina.

Queste nuove opere vengono presentate in due mostre personali presso la galleria di Paola Betti a Milano, nel febbraio del 1978 e nell’aprile del 1980. Il riallestimento di una delle pareti di questa seconda mostra è parzialmente riproposto oggi in sala 5.

A luglio del 1978 è di nuovo presente alla Biennale di Venezia nell’ambito della mostra Sei stazioni per artenatura. La natura dell’arte, curata da Jean-Christophe Ammann, Achille Bonito Oliva, Antonio Del Guercio e Filiberto Menna.

Nel febbraio 1980 è invitata con alcune opere del 1947-1949 alla rassegna L’altra metà dell’avanguardia, curata da Lea Vergine al Palazzo Reale di Milano, poi trasferita a Roma e a Stoccolma. La mostra ricostruisce l’apporto di centoundici artiste alle vicende delle avanguardie storiche europee.
 

 
Carla Accardi
Mostra personale, Studio Betti, Milano, 1980
Foto Maria Mulas

1981-1989 

A partire dai primi anni Ottanta, accanto alle mostre che si susseguono nelle gallerie, la realizzazione di alcune importanti mostre antologiche contribuisce a consolidare definitivamente la fortuna critica dell’artista. Le prime ampie perlustrazioni del suo lavoro si tengono nel 1983: a febbraio alla Pinacoteca Comunale di Ravenna a cura di Vanni Bramanti, ad aprile al PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano a cura di Corrado Levi, e a luglio all’ex Convento San Carlo di Erice a cura di Palma Bucarelli.

Continuano lungo il decennio anche le mostre personali all’estero: nel 1985 in Germania, alla Frankfurter Westend Galerie di Frankfurt am Main, e in Spagna, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid; nel 1988 in Canada, presso l’Art Gallery of Ontario e l’Istituto Italiano di Cultura; nel 1989 alla Galerie Di Meo di Parigi e alla Salvatore Ala Gallery di New York.

Negli stessi anni prende parte a diverse mostre collettive che ripercorrono storicamente le principali vicende dell’arte degli anni Sessanta e Settanta, tra queste Linee della ricerca artistica in Italia 1960-1980, curata da Nello Ponente nel febbraio del 1981 al Palazzo delle Esposizioni di Roma; Avanguardia Transavanguardia 68-77, curata da Achille Bonito Oliva, alle Mura Aureliane a Roma nell'aprile-luglio del 1982; L’Informale in Italia, curata da Renato Barilli e Franco Solmi nel giugno-settembre del 1983 alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna; Italienische Kunst 1900-1980, curata da Peter Weiermair e Mercedes Garberi nella primavera del 1985 al Frankfurter Kunstverein di Francoforte; Emergenze della ricerca artistica in Italia dal 1950 al 1980, organizzata nell’ambito dell’undicesima Quadriennale d’Arte di Roma a Palazzo delle Esposizioni a Roma nell’estate del 1986; e Italian Art in the 20th Century, a cura di Germano Celant e Norman Rosenthal alla Royal Accademy di Londra a gennaio-aprile del 1989.

In questo periodo di storicizzazione della più recente arte contemporanea un particolare interesse è suscitato dalle vicende di Forma, a cui sono dedicate diverse mostre da istituzioni pubbliche in Italia e all’estero.

Nel 1983 realizza il primo dei cinque pannelli in ceramica per il portico del Palazzo Comunale di Gibellina, rispondendo alla richiesta rivolta dall’allora sindaco, Ludovico Corrao, agli artisti per contribuire alla ricostruzione del paese dopo il terremotato del Belice. Gli altri quattro pannelli vengono realizzati tra i 1989 e il 1990.

Nel 1985 esegue alcune tavole per lo stampatore Marco Noire di Torino poi raccolte nel quinto numero della collana «Illustrazione», curata da Paola Invrea, Noire e Luciano Pistoi, con il titolo Pieno giorno e una poesia di Andrea Zanzotto, Docile, riluttante, scritta per l’occasione. Il volume, esposto qui in sala 7, testimonia il costante interesse dell’artista per la poesia. Dalle poesie più amate, di cui annota sui taccuini i versi preferiti, l’artista trae in alcuni casi anche i titoli dei suoi quadri.

Nel 1986 realizza l’opera A Gent abbiamo aperto una finestra, per Chambres d’amis, la straordinaria iniziativa del direttore dello S.M.A.K. di Gent, Jan Hoet, che invita gli artisti a intervenire nelle case di professionisti, collezionisti o di altri cittadini. Un invito che sfidava le convenzioni e in nome dell’amicizia accorciava le distanze tra entità separate (casa/museo, collezionisti/pubblico, proprietà privata/condivisione dei beni), a cui Accardi risponde in maniera altrettanto eccezionale, costruendo una ‘finestra’ che, allestita nella casa dell’architetto Dirk Defraeije-De Boodt, disintegrava il diaframma tra interno ed esterno.

Nel 1988 l’artista viene nuovamente invitata alla Biennale di Venezia con una sala personale. Diversamente da quanto accaduto in occasione dell’allestimento della sala della Biennale nel 1964, in cui aveva esposto lavori dei primi anni Sessanta insieme a due opere storiche, in questa occasione presenta solo opere recenti: otto dipinti eccezionalmente grandi, tra i quali sette dittici e un trittico, realizzati tra il 1986 e il 1988, che nell’insieme occupavano lo spazio con un ritmo regolare e con il pieno dominio delle pareti.

In sala 6, accostati e affrontati come lo erano a Venezia, riproponiamo la maggior parte di quei dipinti: Grande dittico del 1986, Animale immaginario I e Pieno giorno (veduta) entrambi del 1987, Senza titolo, Grande verdeviola e Grande capriccio viola tutti del 1988.

La novità principale di queste opere, oltre alla gran-de dimensione dei dipinti, è una nuova articolazione del rapporto tra segno e fondo su cui l’artista lascia a vista la tela grezza. Una scelta che, pur evidenziando un nuovo scarto nella sua ricerca, Accardi ricollega a quanto aveva già sperimentato con il bianco e nero o con la vernice sul sicofoil:

Il mio bisogno di pittura è tornato in maniera più forte. Volevo usare la pittura come non l’avevo mai usata, sempre in una posizione di spostamento. Allora ho usato un fondo, che è stata la tela grezza, come avevo usato il nero per i lavori bianchi, come avevo usato la plastica; all’interno, sempre, di due elementi.

 

 
Carla Accardi, sala personale alla Biennale di Venezia, 1988
Foto Attilio Maranzano

1990-2013 

Lungo un percorso che mantiene una sostanziale coerenza, Carla Accardi riesce negli anni ad affrontare problematiche e vagliare approcci e procedimenti che interessano generazioni di artisti diverse dalla sua. Questa sua capacità di rinnovarsi le permette di stimolare in maniera sempre crescente fino ad oggi l’attenzione di molti dei nomi più noti della storia dell’arte e della critica militante nazionale e internazionale. Lungo gli anni Novanta e Duemila tiene nuove importanti mostre personali presso musei e istituzioni in Italia e all’esterno: al Museo Civico di Gibellina, a cura di Giuseppe Appella (1990), al Castello di Rivoli, a cura di Ida Gianelli e Giorgio Verzotti (1994) e in Germania a Ludwigshafen am Rhein, Wolsburg e Lubecca, a cura di Susanne Pfleger (1995-1996), all’Accademia di Francia a Roma, a cura di Bruno Racine e Zerynthia Associazione per l’Arte Contemporanea (1997), alla chiesa della Badia Grande, Laboratori Officina a Trapani, a cura di Claudio Cerritelli (1998), al P.S.1 Contemporary Art Center di New York, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev (2001), al Musée de la Ville di Parigi, a cura di Laurence Bossé e Hans Ulrich Obrist (2002), al MACRO, Museo d’arte contemporanea di Roma, a cura di Danilo Eccher (2004), a Palazzo Valle a Catania, a cura di Luca Massimo Barbero (2011).

Sono questi gli anni in cui alcuni importanti lavori dell’artista entrano a far parte di grandi collezioni pubbliche. Nel 1991 il Castello di Rivoli acquisisce nove Rotoli e un Cono giallo. Nel 1998 Ambiente arancio entra a far parte delle collezioni del Musée d’Art Moderne et Contemporain di Strasburgo. Nel 2002 il dipinto Concentrico blu (1960) entra a far parte della collezione della Fondazione Solomon R. Gugghenheim, mentre la GAM di Torino acquisisce lo stesso anno Arciere su bianco (1955) e Labirinto n. 12 (1957-1958), e l’anno successivo Materico con grigi (1954). Nel 2005 la Triplice tenda viene acquisita dal Centre Pompidou di Parigi.

Nel maggio del 1996 le viene conferito il titolo di «Accademico di Brera» e un mese più tardi riceve l’onorificenza di «Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine» dal Presidente della Repubblica. Nel 1999 l’Accademia Nazionale di San Luca la nomina «Accademico corrispondente pittore». Nel 2002 riceve il Premio Speciale per la Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nel 1996 realizza un mosaico a pannelli nell’atrio della stazione Re di Roma della metropolitana di Roma. Alla fine degli anni Novanta avvia la sua collaborazione con la Bottega Gatti di Faenza con cui realizza le serie dei grandi coni esposti al MACRO di Roma nel 2004,  i grandi pannelli per la metropolitana di Napoli nel 2006 e per Palazzo Valle a Catania nel 2011, e Superficie in ceramica pavimento realizzato in occasione della mostra itinerante organizzata dall’Associazione Zerynthia nel 2007-2008.

Nel 1999 (con un successivo aggiornamento del 2011) viene pubblicato il catalogo generale curato da Germano Celant, con cui Carla Accardi aveva stretto un solido rapporto di lavoro e di amicizia sin dalla fine degli anni Settanta.

Sempre nel 1999 realizza la Casa labirinto un ambiente in plexiglass ispirato a un progetto degli anni Settanta, uno spa-zio percorribile com’era originariamente quello della Triplice tenda. L’opera viene esposta per la prima volta a luglio in una sala di Palazzo Doria Pamphilj a Valmontone nell’ambito della rassegna Verso Sud curata dall’Associazione Zerynthia.

L’interesse di Carla Accardi per la poesia si concretizza in nuovi progetti realizzati con gli amici poeti, come quelli con Daniele Pieroni Passi esornativi e una palinodia, nel 1999, e Distici morali nel 2006. Nel 2009 realizza l’opera-libro Armonie con Riccardo Giagni e Valentino Zeichen.

Tra le tante mostre tenute dall’artista negli anni Novanta e Duemila si è scelto di riproporre oggi nell’ultima sala di Palazzo Esposizioni la personale allestita alla Galleria Pieroni di Roma nel 1992 e quella pensata per lo spazio della Fondazione Volume! nel 2008.

Nella prima l’artista torna ad articolare lo spazio attraverso un gioco di opposti e contrasti, tra il bianco e nero, e la tela grezza, mettendo in dialogo tre grandi dittici realizzati nel 1991: Grande nerobianco, Grande bianconero e Movenze notturne.

Per la seconda realizza il lavoro Segni e forme (2007). Sono otto tele sagomate, ciascuna dipinta con un colore diverso. Le forme delle tele, insolite ed estranee a qualsiasi modello geometrico, sono disposte libere nello spazio con la stessa dinamica che da sempre contraddistingue i segni dell’artista, che appaiono qui frammentati. Carla Accardi sembra aver citato sé stessa in sintesi, abbreviata, sfidando a riconoscere il tutto da un particolare e così rendendo in termini visivi un processo di comunicazione tra i più attuali.

Innumerevoli le mostre collettive, tra cui ricordiamo solo, negli anni Novanta, Italian Contemporary Art al Taiwan Museum of Art (1990), Entretien. Quattro generazioni di artisti italiani al Centre Albert Brochette di Bruxelles (1990), Un’avventura internazionale. Torino e le arti 19501970, a cura di Germano Celant, Paolo Fossati e Ida Gianelli al Castello di Rivoli (1993), The Italian Metamorphosis, 1943-1968, a cura di Germano Celant al The Solomon R. Guggenheim Museum di New York (1994); Minimalia. An Italian Vision in 20th Century Art, a cura di Achille Bonito Oliva al P.S.1 Contemporary Art Center di New York (1999). Negli anni Duemila: Wack! Art and the Feminist Revolution, a cura di Cornelia Butler al MOCA di Los Angeles, (2007); Italics, a cura di Francesco Bonami a Palazzo Grassi a Venezia (2008); elles@centrepompidou al Centre Pompidou di Parigi (2009).

Carla Accardi è stata definita in più occasioni un’«artista degli artisti» per la sua capacità di entrare in dialogo con il contesto culturale intorno a lei e con i numerosi artisti, anche più giovani, che negli anni hanno frequentato la sua casa-studio a via del Babuino, tra cui Luigi Ontani, Francesco Impellizzeri, Laura Palmieri, Lucio Fontana, Pietro Consagra, Nino Franchina, Franco Angeli, Lisa Ponti, Suzanne Santoro, Dadamaino, Luciano Fabro, Giulio Paolini, Getulio Alviani, Ettore Spalletti, Carmen Gloria Morales, Remo Salvadori, Franz West, Giuseppe Uncini, Giuseppe Salvatori, Mariano Rossano, Antonio Capaccio, Luca Vitone, Marco Tirelli, Alfredo Pirri, Domenico Bianchi, Paola Pivi, Marco Fedele di Catrano, Claudia Peil, Diego Esposito, Peppe Occhipinti e Ugo Zovetti.

I lavori di alcuni di questi artisti, raccolti come doni e scambi nella collezione personale dell’artista, sono stati esposti nel 2000 in occasione della mostra collettiva Artisti collezionisti, curata al Palazzo delle Papesse di Siena da Pieranna Cavalchini e Cornelia Lauf, e vengono oggi raccolti nuovamente in questa mostra a testimoniare come tutto intorno a Carla Accardi sia esistita, da sempre, una rete di relazioni nata da un intreccio non districabile tra amicizia e “professione”.
 

 
Nella casa-studio di via del Babuino,
Roma, 1996.
Foto Elisabetta Catalano

2014

Il 23 febbraio muore nella sua casa-studio di via del Babuino all’età di 89 anni.