I VOSTRI racconti del tavolo


Un contest letterario per scuole e famiglie e una mostra 
 

a cura di Laboratorio d’arte e Vànvere edizioni 

in collaborazione con la Libreria del Palazzo delle Esposizioni 

 

Avete mai provato un brivido di paura davanti al foglio bianco?  

Vi siete mai trovati a corto di idee, quando volevate cominciare una storia? 

Nel libro “I racconti del tavolo” (Vànvere edizioni) il foglio bianco è una tovaglia candida, che l’illustratore Simone Rea ha steso su un tavolo, apparecchiandolo poi nei modi più inaspettati. 

È un bel punto di partenza: guardando le sue immagini suggestive e misteriose, si possono scatenare in voi nuove idee per inventare delle storie. Le sentirete bollire sul fondo, poi pian piano venire a galla... 

Si è divertita a provarci la scrittrice Chiara Carminati, che ne ha tirato fuori 16 tracce per altrettanti racconti. Sono degli assaggi, dei ritagli, degli spunti per fare spuntini... con un’unica ricetta: completare le parti mancanti. A volte troverete solo l’inizio di un racconto, a volte anche la fine, come fossero l’antipasto e il dessert, ma senza le portate principali, che potrete allora inventare voi. Altre volte ci sono liste di ingredienti da combinare tra loro, sperimentando i migliori abbinamenti per ottenere nuove pietanze di parole.  

Ora tocca a voi! 

  


 

IL CONTEST - regolamento 

Qui e sul sito di Vànvere www.vanveredizioni.com trovate tre immagini di Simone Rea e le corrispondenti tracce per costruire il vostro racconto scritte da Chiara Carminati 

Se avete tra i 7 e i 14 anni 

  • Scegliete quella che vi ispira di più e scrivete il vostro racconto da solio con la vostra classe 
  • Inviatelo entro il 15 febbraio 2021 all’indirizzo laboratoriodarte@palaexpo.it in formato word indicando: nome e cognome, età, scuola 
  • Tutti i racconti saranno pubblicati sul sito del Palazzo delle Esposizioni nella sezione “Dacci un segno”
  • L’autrice e l’illustratore, insieme allo staff del Laboratorio d’arte e della casa editrice Vànvere, selezioneranno tre racconti che spiccano per stile e originalità. Agli autori e alle autrici saranno assegnati i seguenti premi:

 

  1. Stampa di una tavola firmata da Simone Rea dal libro “I racconti del tavolo”
  2. Selezione di libri di Vànvere edizioni 
  3. Una copia autografata del libro “I racconti del tavolo”

 

LA MOSTRA 

Al termine del contest le raffinate tavole in bianco e nero di Simone Rea saranno esposte nella Libreria del Palazzo delle Esposizioni insieme a una selezione di titoli della casa editrice Vànvere, piccola casa editrice per ragazzi di progetto che pubblica libri operativi d’artista.  
 


 
 

 Scarica la scheda "à la carte"

 
 

 Scarica la scheda "inventa una storia"

 
 

 Scarica la scheda "storia di Natale"

 


  
I RACCONTI VINCITORI


- Classe IIIA, Scuola primaria Carlo Salvetti di Pieve S. Stefano (AR)
- Lea Torrisi, Scuola secondaria di primo grado dell'IC Sinopoli Ferrini di Roma
- Francesco Liberto, classe III, Istituto Maestre Pie Venerini di Roma
- Gabriele, IV A, plesso M.T. di Calcutta dell'IC Olcese di Roma
 

Scuola primaria Carlo Salvetti III A
 

INVENTO UNA STORIA

Era sabato pomeriggio e Giulia era in ansia davanti al foglio bianco. Il compito diceva: “Inventa una storia”. A Giulia non piaceva inventare storie. Le sembrava di non avere fantasia. Si sentiva il cervello vuoto e la mano pesante. Guardò fuori dalla finestra, sospirando. Un piccolo gatto tigrato camminava in equilibrio sulla grondaia del tetto di fronte. Dalla finestra del secondo piano qualcuno urlò. Al primo piano, una signora scosse una tovaglia dal terrazzo, lasciando cadere qualcosa sull’erba del giardino. Un ragazzo in bicicletta svoltò l’angolo correndo all’impazzata, inseguito da un cane con il guinzaglio rotto… In quel momento accanto a Giulia comparve Treb, uno dei suoi amici immaginari. Era molto tempo che Giulia non lo vedeva. Treb le sorrise e sussurrò: “Sai come dicono i grandi scrittori? Non inventare: guarda. Guardati attorno e prendi spunto da quello che vedi. Il mondo è pieno di storie, in ogni singolo istante.” Giulia guardò di nuovo fuori dalla finestra. E cominciò a scrivere: Un giorno, sul tetto di una casa, in equilibrio sulla grondaia, comparve una tigre.

All’improvviso, dalla finestra del secondo piano, qualcuno urlò: “AHHHHHH!” . Nel frattempo, al primo piano, la signora Marisa si stava affacciando al terrazzo per scrollare la tovaglia e, spaventata dal grido, chiese: “Oh,  Mirko,  che succede? Hai visto un fantasma?”  Mirko rispose: “Magari un fantasma mamma…. Sotto il letto c’è un pitone viscido, enorme, sibilante, vivo….. vero!” . La mamma, incredula, gli rispose: “Sei sempre il solito burlone, smetti di fare lo sciocco” e continuò a scrollare la tovaglia dalla quale, oltre alle briciole, caddero alcuni semi di mais che finirono tra l’erba del giardino. In quel momento si sentirono dei tonfi  fortissimi… la casa tremò…. La signora Marisa alzò lo sguardo e vide prima la tigre sul tetto, poi un enorme elefante cavalcato da un indiano arrivare a tutta velocità nel suo giardino. Pensò: “Stai a vedere che Mirko diceva la verità!”.  Mentre pensava così, una buffa scimmietta con il guinzaglio rotto sbucò da un cespuglio. Stava inseguendo l’elefante e quando lo raggiunse saltò sulla spalla dell’indiano che esclamò: “Eccoti Gerald, per fortuna ti sei messo in salvo anche tu!”. La signora Marisa, sempre più confusa, domandò: “Ma che succede qui? Una tigre sul tetto, un elefante e una scimmia in giardino, un pitone…. Oddio …. Mirko …. Il pitone….. svengoooooo!”” e cadde distesa sul terrazzo.  Quando riaprì gli occhi, si ritrovò davanti Mirko con il pitone a tracolla (ormai erano amici) e l’indiano che la sventolava con la tovaglia e intanto le spiegava cosa era successo.  Il suo circo era andato a fuoco, gli animali erano scappati e lui era disperato: già con il Covid gli affari andavano male e ora anche lo spettacolo di quella sera  saltava!!!

Mirko ebbe un’idea e disse: “Mamma che ne dici se gli prestiamo il nostro giardino per fare lo spettacolo?”.

La signora Marisa rispose: “Va bene, ma solo ad una condizione….”. L’indiano la interruppe dispiaciuto : “Sono mortificato, ma non potrò pagarvi l’affitto….. gli affari vanno malissimo!”.  Marisa sorrise e lo rassicurò:”Non intendevo questo, volevo dire che devi promettermi di non maltrattare gli animali e di mantenere ben distanziati gli spettatori!”. 

Lo spettacolo di quella sera fu un successo, come anche la storia di Giulia. Prese dieci. E lo divise a metà con Treb.

Treb, dopo aver letto il racconto chiese a Giulia: “E i chicchi di mais caduti in giardino?”. “ Mmmmm…. Fammi pensare”, rispose lei (ormai era diventata una campionessa di fantasia!) “Ecco, ci sono! La sera dello spettacolo un fulmine improvviso li colpì e li trasformò in gustosi pop-corn che l’indiano offrì a tutti gli spettatori, dopo avergli fatto disinfettare bene le mani”.


 
Lea Torrisi
 

Sui rami di un albero, un bambino con gli occhiali a specchio sembrava perfettamente a suo agio, eppure non lo era davvero. Voleva sembrare a suo agio. Voleva far pensare che lui stesse su quel ramo regolarmente, ma non ci stava. Voleva sembrare una persona a cui piacciono gli occhiali a specchio, ma non gli piacevano. Il bambino con gli occhiali a specchio era salito su quel ramo cinque minuti prima della fine degli allenamenti di pallone, e aveva avuto paura d cadere dal primo secondo di arrampicata. Un minuto prima della fine degli allenamenti di pallone si era messo gli occhiali a

specchio, si era spettinato i capelli e aveva assunto una posa da spaccone: una gamba che pendeva dal ramo, l’altra piegata a formare un angolo retto, il braccio afflosciato sulla gamba piegata, l’altro sul cavallo. Il bambino con gli occhiali a specchio, che più tanto bambino non era, pensava che l’avrebbe fatto ingelosire al suo amico così. Se ne stava là ad aspettare la domanda “che ci fai qua?” e lui, lo sapeva, avrebbe risposto “nulla, mi godo la mia meravigliosa vita mentre aspetto che Tito esca…” e, lui lo sapeva, l’amico l’avrebbe guardato perplesso, gli avrebbe chiesto “e chi è Tito?” Il bambino con gli occhiali a specchio aveva la risposta pronta, anche se Tito non esisteva, lo sapeva bene lui, avrebbe detto “nessuno, è un mio amico, andiamo in giro insieme oggi.” E lì, lui lo sapeva, l’amico avrebbe sentito dentro un rigurgito di gelosia, sarebbe restato senza parole, e poi avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andato. Ma il bambino con gli occhiali a specchio, che, diciamolo, più tanto bambino non era, pensava ancora. Doveva proprio fargli capire al suo amico che non gli importava più di lui. Era passato oltre. Si poteva mettere gli auricolari, fare finta di non sentirlo quando l’amico gli avrebbe chiesto “Ameri’ che ci fai qui?”. Si sarebbe guardato intorno, dopo un po’ l’avrebbe individuato, si sarebbe tolto un auricolare, uno solo, e avrebbe detto con una smorfia di pietà (che non c’entrava nulla, ma non ci sta mai male) “Scusa, che? Non ho sentito?” L’amico avrebbe ripetuto e da lì la conversazione andava bene come se l’era immaginata in partenza. “Ho detto: che ci fai qui?” “Nulla, mi godo la mia meravigliosa vita mentre aspetto che Tito esca…” “E chi è Tito?” “Nessuno, è un mio amico, andiamo in giro insieme oggi.” E così via. Era il metodo perfetto. E diciamolo, aveva riflettuto anche sull’aspetto esteriore. Si era messo le Nike alte, non le solite Adidas basse. I jeans, non i soliti pantaloni di velluto. I jeans strappati davanti, peraltro. Una polo bianca un po’ grande, non la solita camicia a scacchi verdi con le maniche corte. Gli occhiali a specchio e i capelli castani chiari tutti spettinati erano la ciliegina sulla torta. Per far ingelosire l’amico era perfetto. Sentì il fischietto dell’allenatore. Dopo circa mezzo minuto, una massa di ragazzini stava uscendo dalla porta dell’edificio. Il bambino con gli occhiali a specchio, che, bisogna farlo notare, più tanto bambino non era, cercava affannosamente una testa con i capelli neri, la pelle chiarissima tutta chiazzata di rosso per il caldo. Appena la vide si calmò. Ritornò nella posa da spaccone e si disse “Sei pronto. Di lui non ti importa nulla. Leva un auricolare, scusa, che? Non ho sentito. Stai aspettando Tito. E Tito chi è, Tito è il tuo amico. Ci siamo. Morirà di gelosia.” Seguì con lo sguardo la testa bruna. Si avvicinava. Iniziò a vederla meglio. Iniziava a distinguere il ciuffetto di capelli neri. Gli occhi chiari ridevano. La bocca sorrideva, e parlava. L’amico si voltò. L’amico si voltò, ma non verso il bambino con gli occhiali a specchio, si voltò verso un altro ragazzino. E rise. Ormai l’amico lo stava sorpassando. Ormai l’amico l’aveva sorpassato. L’aveva sorpassato e non l’aveva visto. 

Con il vuoto nel petto scivolò giù dal ramo. Iniziò a camminare. Non sapeva per dove. Aveva detto a sua madre che sarebbe stato fuori fino alle sette di sera, se fosse tornato a casa lei avrebbe fatto domande, lui non avrebbe saputo cosa rispondere, sarebbe stato imbarazzante. No, non gli andava. Non sapendolo i suoi piedi lo stavano portando a casa del suo amico. Quando iniziò a realizzarlo neanche si oppose. L’unica cosa che pensava era che si voleva levare quei vestiti di dosso. La polo era troppo grossa, gli pendeva senza ragione, i jeans erano spaccati e questo non gli piaceva, perché la gente doveva vedere le sue ginocchia? Le scarpe erano scomode. Gli occhiali a specchio erano osceni. Chiunque l’avesse visto vestito in quel modo lo avrebbe scambiato per chissà chi. Lui non voleva. Si fermò al semaforo. Sentì qualcuno ridere dietro di lui. Sapeva chi era. Non si girò. Tanto non l’avrebbe riconosciuto da dietro conciato in quel modo. – Amerigo? – L’aveva riconosciuto. – No. – Scattò il verde. Attraversò correndo. Adesso sapeva dove andare. Lontano da lì. In una gelateria, il suo amico era l’unica persona al mondo ad odiare il gelato. Corse fino alla seconda gelateria più vicina, la prima era troppo vicina a casa dell’amico. In due minuti riuscì a ordinare un gelato a due gusti con panna, fare cadere le monete con le quali doveva pagarlo, nel tentativo di riprenderle far cadere anche il gelato, pagare per due gelati, perché il gelataio gli fece pagare anche il gelato caduto, prendere un secondo gelato a due gusti con panna e correre via. Non ne poteva più. Non riusciva a credere di stare facendo tutte quelle cose. Non poteva essere lui. Nessuno doveva capire che era lui. Mentre leccava il suo gelato, andò ad una bancarella e comprò un cappellino con la visiera. Il commerciante gli fece anche uno sconto dato che aveva speso la maggior parte dei soldi nel gelato e nel gelato caduto. Se lo infilò in testa. Più che nascondersi dagli altri si nascondeva dall’idea di se stesso seduto su una panchina a mangiare il gelato vestito con vestiti che non gli piacevano sentendosi un cretino. Non sapeva più che fare. Voleva solo tornare a casa. Ma le domande della madre… Poteva chiamare qualche amico, ma l’unico amico che voleva chiamare era lo stesso che gli aveva chiesto se lui era Amerigo e si era sentito rispondere un fermo “No”. Se l’avesse incontrato gli avrebbe, detto in faccia, all’amico “Continua ad uscire con altre persone! A me non interessa più proprio per niente. Anzi sai cosa, guarda qua! Ora chiamo un mio VERO amico e gli dico di venire qua così almeno ci divertiamo un po’!” Gliel’avrebbe detto. E se… No. Poteva farlo… No. Ci avrebbe messo un secondo…Ma no! No! E invece sì. Finì il suo gelato, prese il cellulare, chiamò un suo compagno di classe, scegliendo abbastanza a caso. – Tommasi’, che fai? – Silenzio – E se non c’hai nulla da fare, che dici ti va di uscire? Io non ho nulla da fare e sono fuori. – Silenzio – Va bene, sono a Piazza Garibaldi. – Silenzio – Ok, a tra poco. – Il bambino con gli occhiali a specchio, che, mi sento di dire, più tanto bambino non era, si alzò dalla panchina. Avrebbe chiesto a Tommasi’ che voleva fare, lui avrebbe detto che non lo sapeva, lui avrebbe risposto “Possiamo andare alla videoteca”, il suo amico praticamente viveva alla videoteca, Tommasi’ avrebbe detto che perché no, e loro due sarebbero andati alla videoteca. Alla videoteca avrebbero incontrato il suo amico che gli avrebbe detto “Ciao Ameri’, che fai qua?” e lui avrebbe risposto, lo sapeva, “Nulla, cerchiamo un film da vedere stasera” ovviamente Tommasi’ avrebbe capito all’istante e quindi non avrebbe detto nulla. Il suo amico imbarazzato avrebbe detto “Ah, ehm… Ciao.” avrebbe abbassato la testa e se ne sarebbe andato.

Arrivò Tommasi’. – Ciao! –                               
– Ciao! Che vuoi fare? –                  

Ehm… Non lo so. – –

Se ti va possiamo andare alla videoteca. –                           
 – Oh, sì, ok! – “Sono pazzo” pensò Amerigo, il bambino con gli occhiali a specchio, che, diciamolo, più tanto bambino non era, e forse aveva ragione, era pazzo, ma chi a quell’età non lo è?  

Alla videoteca non c’era nessuno. Evidentemente il suo amico non passava più tutte le sue giornate alla videoteca. Aveva cambiato abitudini, e lui non lo sapeva. Lo voleva indietro. Gli mancava. Voleva andarlo a trovare e dirgli che gli mancava tanto. Non ce la faceva più. Sarebbe uscito dalla videoteca e sarebbe andato a casa sua, avrebbero visto un film insieme. Avrebbero parlato un po’,

avrebbero parlato fino a tardi e poi sarebbero crollati a dormire. La mattina dopo si sarebbero svegliati come se gli ultimi mesi non ci fossero mai stati, di nuovo amici.                  

Allora che film prendiamo? – chiese Tommasi’. Il, meglio cambiare, ragazzo con gli occhiali a specchio era nella videoteca con Tommasi’, se lo era scordato. – Che ne dici del Signore degli Anelli? Possiamo prendere quello. Pago io se vuoi. – Tommasi’ fece una faccia strana – Il Signore degli Anelli? Vabbo’. – Disse non molto convinto. Pagarono il dvd e uscirono.

Il ragazzo con gli occhiali a specchio non sperava più. Non voleva immaginare nulla. Si stava dirigendo a casa con Tommasi’, il primo compagno di classe che gli era apparso sulla rubrica del cellulare. Avrebbero visto il Signore degli Anelli insieme. E Tommasi’ si sarebbe addormentato. Sicuro. – Ehi Ameri’, ciao! Ciao Tommasi’. – Stavano passando davanti alla casa del suo amico, e il ragazzo con gli occhiali a specchio neanche se ne era accorto. – Ciao Sergio. Come va’? – L’amico, Sergio, era contento di rivedere il ragazzo con gli occhiali a specchio. – Nulla, stavamo andando a vedere Il Signore degli Anelli. Vuoi venire? – disse il ragazzo con gli occhiali a specchio. – Ok.

 
 

 

Francesco Liberto (8 anni)  

La storia del drago e il bambino

A LA CARTE

Un giorno un uomo con un cane (che non era un cane) e che viveva in una caverna senza fondo, camminava senza fretta per arrivare su un’isola circondata da un mare tempestoso e mentre andava ha visto un cucciolo di drago. Lo prese con se e lo portò sulla barca. Il drago mentre riposava beatamente sulla barca sparò fuoco e la barca si incendiò. L’ uomo stava annegando e il cane lo salvò. Il cane se ne andò con il drago. L’uomo sembrava perfettamente a suo agio, eppure aveva molta fame, con il cellulare ordinò un litro di latte. Aspettava la consegna del latte, ma ad aspettare si fece vecchio. Nel frattempo il cane morì ma il drago si ricordò dell’uomo e tornò indietro a salvarlo. Da allora vissero felici e contenti.