La mostra è costituita da una serie di circa quaranta ritratti di Julian Assange eseguiti da Miltos Manetas tra febbraio e aprile di quest’anno e vuole rappresentare, fra le molte cose dette e fatte in questi ultimi due mesi in tutto il mondo, un particolare, forse paradossale, contributo di riflessione sulla condizione della reclusione, dell’isolamento, dell’impossibilità dell’incontro.
Inaugurando la settimana precedente alla prevista riapertura dei musei italiani, la mostra non si potrà visitare, e manterrà questa condizione anche quando le sale espositive dovessero riaprire le porte al pubblico.
L’unica modalità per conoscerla ed esplorarla rimarranno la sua comunicazione e la sua documentazione attraverso i canali social e digitali di Palazzo delle Esposizioni e il profilo
instagram.com/condizioneassange creato dall’artista per essere riempito di contenuti a partire dal momento dell’inaugurazione, l'11 maggio alle ore 18.
Condizione Assange vuole essere soprattutto un’operazione che coglie, nella coincidenza fra la lunga storia di reclusione e isolamento – prima da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, poi, dopo il “sequestro”, nelle prigioni inglesi – di sovraesposizione mediatica e, allo stesso tempo, di riduzione al silenzio di Julian Assange, molte analogie con la condizione vissuta da miliardi di abitanti del pianeta, in queste settimane.
Non si tratta quindi solo della denuncia di un’ingiustizia, o di un tentativo di richiamare l’attenzione pubblica sulla vicenda di una persona che si è consapevolmente e ripetutamente assunta la responsabilità di rendere pubbliche informazioni segrete e che ora rischia, con l’estradizione negli Stati Uniti, la pena di morte. E neanche di una mostra di quadri di un artista che decide di dedicare la sua pratica a ritrarre un volto “difficile” (sia per la complessità del personaggio sia, come dice lo stesso Manetas, per le sue caratteristiche espressive).
Palazzo delle Esposizioni – che pochi mesi fa ha ospitato la mostra
Tecniche di Evasione, sulle strategie di derisione ed evitamento della censura nell’Ungheria degli anni ‘60 e ‘70 – ha accettato con grande interesse la proposta di Manetas e ha deciso di declinarla insieme a lui secondo una modalità del tutto inusuale per una mostra.
Proprio negli stessi giorni in cui speriamo di poter riaprire al pubblico le grandi esposizioni di Jim Dine e Gabriele Basilico, interrotte improvvisamente dall’emergenza, vogliamo dedicare una porzione del nostro spazio a ospitare una mostra che, in ogni caso, non si potrà visitare. Lo facciamo perché non vogliamo nascondere il senso di inquietudine e di incertezza che – proprio nell’abbagliante esperienza di una comunicazione che ha invaso ogni fibra e ogni istante della nostra esperienza con tabelle, curve di crescita, spiegazioni epidemiologiche, allarmi e previsioni – questo tempo, come una inaccessibile zona oscura, lascia in tutti noi.
Si ringrazia per la collaborazione la Galleria Valentina Bonomo, Roma.